venerdì 2 marzo 2018
Il debito pubblico (non solo italiano) muta nel tempo il suo valore e la sua composizione ma non si estingue mai. Il settore pubblico chiede risparmio per finanziare il proprio disavanzo
Uno strumento da gestire generando benessere e fiducia
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Caro direttore,

inizio con una affermazione che può apparire paradossale, ma non lo è. Il debito pubblico (non solo quello italiano) non è destinato a essere rimborsato, interamente e definitivamente. Muta nel tempo il suo valore e la sua composizione, ma non si estingue mai. Il settore pubblico chiede risparmio per finanziare il proprio disavanzo. Ricordiamo, anche se solo incidentalmente, che sotto il profilo economico è molto rilevante se il disavanzo è generato da un eccesso di spesa corrente o addirittura da sprechi oppure da spesa per investimenti produttivi in infrastrutture, nella scuola, nella ricerca.


A fronte della domanda di risparmio del Tesoro, vi sono cittadini (nel mondo attuale, con mercati aperti e comunicanti, essi possono ben essere, e sono, di diversi Paesi ) che domandano attività finanziarie nelle quali investire i loro risparmi, sia direttamente sia tramite intermediari (banche, compagnie di assicurazione, fondi comuni di investimento). Gli intermediari, a volte sembriamo dimenticarcelo, sono solo persone giuridiche che operano per conto di un numero vastissimo di persone fisiche, dalle quali proviene il risparmio e che sono i titolari ultimi, effettivi, se parliamo del debito pubblico, dei titoli emessi dal Tesoro. I titoli di Stato sono, da sempre, ambiti perché considerati sicuri, relativamente ai titoli di altri emittenti.

Dal rapporto che si instaura fra risparmiatore e Tesoro con l’acquisto dei titoli di Stato, il risparmiatore si attende un ritorno in forma di interesse. L’interesse compensa il risparmio messo a disposizione del Tesoro per le sue esigenze. Se poi le esigenze finanziarie del Tesoro nascono da politiche fiscali e di bilancio irresponsabili, mirate più che al bene comune presente e a quello delle generazioni future, agli interessi immediati di alcune categorie di cittadini-elettori, sta ai cittadini più responsabili e lungimiranti sostenere, in sistemi di democrazia parlamentare come il nostro, movimenti politici più attenti al bene comune. I risparmiatori sono pronti a rinnovare alla scadenza il loro investimento; sono rassicurati, durante la vita del titolo, dall’esistenza di un mercato secondario efficiente, sul quale vendere, all’occorrenza (l’acquisto di un appartamento, il matrimonio dei figli, un imprevisto), tutto o parte del loro investimento, senza incorrere in sensibili perdite in conto capitale.


Ho usato non a caso la parola “rassicurato”: mantenere nel tempo l’investimento dipende, se parliamo del debito pubblico italiano, dalla fiducia del risparmiatore nel Tesoro italiano, nella sua capacità e volontà di “servire il debito”, cioè di pagare regolarmente gli interessi pattuiti (che non sono, come a volte qualcuno sembra immaginare, una forma di illecita rapina ma, come ho già ricordato, il compenso legittimo, perché contenuto in un contratto liberamente sottoscritto, per la rinuncia all’uso del risparmio per tutta la durata del prestito) e di rimborsare alla pari i titoli in scadenza. Lo “spread” di cui tanto si parla altro non è se non il barometro che segnala il grado di fiducia (o di sfiducia) dei risparmiatori, italiani e stranieri, verso il Tesoro, verso lo Stato italiano. La fiducia diminuisce (o la sfiducia cresce) se il debito pubblico aumenta costantemente, non tanto in valore assoluto, quanto in rapporto al Pil, cioè in rapporto al valore dei beni e dei servizi che l’economia annualmente produce, una parte del quale, attraverso la tassazione, confluisce al Tesoro che riceve in tal modo le risorse occorrenti a servire il debito.


Ecco perché il solo progettare interventi forzosi sul debito (tagliarlo, consolidarlo nel tempo magari a tassi fissati d’imperio fuori mercato, fino a zero) scuote la fiducia, fa fuggire i risparmiatori finché sono in tempo, fa salire alle stelle lo “spread”. Uno “spread” particolarmente elevato segnala la diffusa caduta di fiducia nella volontà dello Stato italiano di rispettare i suoi contratti con i risparmiatori. Il discredito che si riversa su un Paese che dichiara fallimento, che va in “default”, è tale che il suo accesso ai mercati resta per anni precluso, imponendo un vero e proprio equilibrio forzoso del bilancio pubblico. L’alternativa sarebbe ordinare alla propria Banca centrale di stampare carta moneta, che inevitabilmente produrrebbe inflazione che abbatterebbe il valore reale del debito pubblico, a scapito dei risparmiatori, e scardinerebbe alla cieca la rete dei rapporti economicosociali del Paese. La storia economica di molti Paesi dell’America Latina è, in questo contesto, emblematica.


Volendo concludere queste brevi note, dirò che, per il nostro Paese la via, da molti indicata ed elaborata, di un credibile progetto di riduzione del rapporto debito/Pil, anche contenuta ma costante nel tempo, è l’unica capace di raffreddare le tensioni e di garantire un sereno e duraturo rapporto fra il Tesoro-debitore e i risparmiatori-creditori. Come tutte le imprese complesse, anche questa richiede tempo e competenze, analisi e non sogni che avrebbero bruschi risvegli; costanza e non ricerca di fantasiose e pericolose scorciatoie. Richiede l’impegno di classi politiche e di esponenti della società civile dotati di competenze e di senso di responsabilità necessari per il conseguimento del bene comune di questa e delle generazioni future.

*Economista, già direttore centrale della Ricerca Economica della Banca d’Italia e direttore generale Ufficio italiano cambi

(Tredicesimo articolo della serie dedicata al debito pubblico)


Questo articolo fa parte del dibattito sul tema del debito pubblico che continuerà a più voci e con diverse posizioni:

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