giovedì 15 febbraio 2018
Dall'attacco alla lira ai subprime, la nuova sfida sui conti
Foto di archivio

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Caro direttore,

prevale nel mondo della politica e dell’economia l’opinione secondo la quale il debitore ha sempre torto in quanto, a prescindere dalle più differenti cause sottostanti, è stato lui a sottoscrivere il debito. Per il debito pubblico, inoltre, la responsabilità è 'comodamente' attribuita all’intera popolazione, anche se non ha avuto alcun ruolo nelle relative decisioni. Lo si fa anche quando la sua crescita è dovuta a evasioni fiscali, incompetenze amministrative, corruzione e ruberie. La giustificazione addotta di solito è: «Devono pagare perché hanno vissuto oltre le loro possibilità». Quando il debito s’impenna a seguito di attività speculative internazionali, tale odioso commento diventa ancora più frequente. Gli ultimi dati relativi al debito pubblico italiano indicano che il suo rapporto rispetto al Pil è di poco meno del 133%. È secondo solo alla devastata Grecia, tanto che in Europa si pongono interrogativi circa il ruolo dell’Italia nella Ue. È un solido elemento oppure è una minaccia d’instabilità? Di conseguenza tutti reclamano riforme strutturali, rientri veloci, tagli e austerità, fino a sollecitar forti sanzioni finanziarie per il mancato rispetto dei cosiddetti parametri di Maastricht. Non conta più il fatto che l’Italia sia stata tra i fondatori dell’Unione. La si vorrebbe relegare nel secondo o addirittura nel terzo 'girone', quello a velocità ridotta.

È vero che nei decenni passati l’andamento del debito è quasi sempre stato in crescita, tranne nel biennio 2006-8 del secondo governo Prodi. Ma spesso non si evidenzia che la speculazione finanziaria internazionale, esplosa in alcuni momenti della nostra storia, ha inferto delle tremende accelerazioni al debito pubblico. Non si dimentichi che il primo grande attacco avvenne contro la lira nel 1992. Era parte, come risaputo, del più vasto attacco contro il Sistema monetario europeo (Sme). In Italia, però, tale attacco speculativo si combinò con la pressione internazionale per la privatizzazione delle imprese a partecipazione statale. Il famoso 'scandalo del Britannia', lo yacht della regina Elisabetta, su cui finanzieri angloamericani e alti rappresentanti ministeriali e delle Partecipazioni statali si incontrarono per 'progettare' le privatizzazioni. La speculazione determinò la svalutazione di circa 30% della lira, trasformando così le privatizzazioni in vere e proprie svendite. Le conseguenze sul debito pubblico furono devastanti.

Il rapporto debito/Pil , che nel 1992 era di 105,4%, salì al 115,6% nel 1993 fino a raggiungere il 121,8% nel 1994. Andamento che, ovviamente, si aggravò ulteriormente sotto la pressione dei mercati che fecero lievitare notevolmente i tassi d’interesse sui titoli di Stato. Fu necessario uno sforzo enorme per tagliare la spesa pubblica e avviare la ripresa. Contrariamente alla vulgata populista, anche l’entrata nell’euro incise positivamente nel riequilibrare il rapporto debito/Pil che si assestò intorno al 103% nel 2004 e di nuovo nel 2007. Purtroppo, subito dopo vi fu la crisi finanziaria globale del 2007-8 che, partita dagli Usa, investì tutto il mondo, in primis l’Europa, colpendo tutti i settori economici, bancari e commerciali provocando crolli nelle produzioni ed enormi salvataggi pubblici delle banche a rischio bancarotta.

La crisi è stata il frutto velenoso della deregulation finanziaria che determinò il crollo dei mutui subprime e il collasso della montagna di derivati finanziari super speculativi a essi collegati. Si ricordi che secondo i dati della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea, il valore nozionale globale dei derivati over the counter (otc), cioè contrattati fuori dei mercati regolamentati e tenuti fuori bilancio, era allora di circa 700 trilioni di dollari. Una cifra enorme che nonostante le tante proposte di riforma finanziaria, ancora oggi resta alta, circa 600 trilioni di dollari. I n Italia il rapporto debito/Pil schizzò dal 103,6% del 2007 al 116,0% del 2009. L’impennata più recente si è registrata nel 2011 a seguito dell’attacco speculativo contro l’Italia, che portò lo spread a oltre 500 punti (5%) sopra il tasso d’interesse del Bund decennale tedesco, con effetti pesanti per gli interessi sui titoli di Stato italiani. Ciò determinò la caduta del governo Berlusconi e l’arrivo del governo Monti. L’attacco speculativo si fermò quando Mario Draghi, presidente della Bce, dichiarò che avrebbe utilizzato tutti i mezzi necessari nella difesa dell’euro: il suo famoso «whatever it takes»! Ma il rapporto debito/Pil, che nel 2011 era del 120,7%, schizzò al 127,0% l’anno successivo. È troppo facile affermare, in Europa o in Italia, che la speculazione attacca chi se lo merita. Si dimentica che un’economia più debole deve fare degli sforzi maggiori per recuperare le perdite generate da una crisi a volte provocata da altri.

Ora il debito pubblico, con la sua enormità, ci dice che c’è ancora molto da fare. Nelle sedi europee non servono né l’ottimismo di maniera né la classica voce grossa. A nostro avviso, in quelle sedi bisogna evidenziare anzitutto che il nostro Paese, a causa dei citati ripetuti attacchi speculativi, ha subito un significativo aggravamento del rapporto debito/Pil non inferiore al 30%. Allo stesso tempo bisogna far comprendere la necessità di escludere gli investimenti dai vincoli delle politiche di austerità. Il rapporto debito/Pil si riduce soprattutto con la crescita e lo sviluppo economico sostenuti da una politica di investimenti nelle infrastrutture, nella modernizzazione tecnologica e digitale e nelle stesse politiche sociali. La riscoperta di una finanza rivolta agli investimenti, come i project bond, e non alla speculazione può essere è certamente di grande aiuto.

Crediamo che sia necessario, anche se non facile, definire un sistema di valutazioni e di interventi, anche di carattere giuridico, per evitare che gli effetti della deregulation selvaggia e della speculazione finanziaria siano scaricati, attraverso il crescente debito pubblico, sulle spalle dell’intera popolazione. Altrimenti, come ha ben evidenziato Francesco Gesualdi nell’articolo del 2 febbraio scorso con il quale lei, direttore, ha aperto il dibattuto su 'Avvenire', l’Italia rischia di rimanere nella trappola del debito, dove il pagamento di alti interessi è fatto attingendo a nuovi debiti pubblici. In merito a questo enorme problema le parole di papa Francesco, quando dice che «i mercati non possono godere di un’autonomia assoluta. Senza risolvere i problemi dei poveri non risolveremo quelli del mondo», ci sembrano le più appropriate ed efficaci.

*già sottosegretario all’Economia

**economista, editorialista di Italia Oggi

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