giovedì 22 febbraio 2018
Riduzione graduale, niente mosse drastiche controproducenti
Una parte del debito va messo in comune in Europa
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Vi sono due livelli di debito: quello che riguarda l’esposizione dei Paesi del Terzo mondo nei confronti di altri Stati e di organismi internazionali e quello dei Paesi, per esempio, dell’Ocse, fra i quali il nostro. Nel primo caso, è difficile ritenere che l’ingigantirsi delle esposizioni costituisca una esclusiva colpa dei debitori, pur non nascondendo i casi di cattive gestioni, di corruzione e di illeciti arricchimenti che si sono realizzati in alcuni di quegli Stati e che hanno riguardato, però, una ristretta cerchia di despoti più che veri e propri governanti. In questi Paesi, dove è diffusa una povertà ai limiti della sussistenza, il debito racchiude, in effetti, una storia di prevaricazioni, di sfruttamento, di dominio patita da masse di diseredati. Sull’enorme peso che questa esposizione esercitava, anche attraverso l’ingente onere degli interessi, intervennero le iniziative del Millennio, promosse da Giovanni Paolo II – e che trovarono in seguito diffusa condivisione anche nel G.20 – per la remissione, in tutto o in parte, del debito.

Qui vi è un’opera di giustizia, commutativa e distributiva, alla quale gli Stati creditori non potevano e non possono sottrarsi. La ripresa economica di alcuni Paesi presuppone lo scioglimento del cappio del debito. Diversa è la situazione del debito sovrano in un Paese dell’Unione Europea e, in particolare, dell’Italia. Qui è in ballo non un rapporto tra Stati, come nel primo caso, ma tra lo Stato e le persone fisiche o giuridiche che a quest’ultimo hanno prestato, con la sottoscrizione dei titoli, il loro risparmio. Il debito costituisce, qui, nel caso dell’Italia, la sintesi delle mancanze delle istituzioni della politica, delle decisioni sulla spesa per lunghi anni avulse da valutazioni di compatibilità, nonché di efficienza ed efficacia, del gravissimo fenomeno dell’evasione fiscale, del costante rinvio delle scelte, del deteriore rapporto tra politica ed economia, della declamazione di riforme poi non attuate. In sé il debito non avrebbe costituito il 'monstrum' con il quale ora dobbiamo fare i conti se fossero state promosse politiche adeguate per la crescita, la produttività e la competitività, in generale per una politica economica organica e lungimirante che ancora tarda, continuando a palesarsi quell’arretramento negli indicatori fondamentali rispetto ad altri Paesi che Antonio Fazio ha definito come «bradisismo economico».

Queste carenze sono state in mutua corrispondenza con l’evoluzione del debito. Un cane che si morde la coda. Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nel discorso tenuto al congresso annuale Assiom-Forex di Verona, ha sottolineato che il problema del debito pubblico non può essere eluso, che andrebbe affrontato anche se non esistessero i vincoli europei del Patto di stabilità, che l’aumento del disavanzo non si può sostituire alle riforme necessarie pure per la riduzione del debito, che, a livello comunitario, riduzione dei rischi anche nella finanza pubblica e loro condivisione sono complementari, senza che si pretenda di operare prima la riduzione. Una ristrutturazione od operazioni della specie, quali l’allungamento delle scadenze per i prestiti già in essere o altre ancora riguardanti questi ultimi, oggi non sarebbero opportune per l’effetto-annuncio che darebbero e che, innanzitutto, spaventerebbe i risparmiatori privati, lasciando anche ipotizzare il congelamento dello stesso debito. I rischi sistemici sarebbero enormi. Visco ha ricordato i rischi che potrebbero derivare da una ristrutturazione da cui scaturissero movimenti di capitale rapidi e ampi sul mercato dei titoli di Stato europei. La risposta, allora, non può che essere politica: occorre una organica, pluriennale strategia per il debito, incentrata in primis su crescita e produttività, quindi su di una spending review non solo di nome, poi sulla dismissione di quelle partecipazioni pubbliche che non siano funzionali agli interessi generali, nonché su modalità tecniche, senza sfociare nella cosmesi finanziaria, che riguardino emissioni, collocamenti e rimborsi dei titoli pubblici. Riformare, dunque. Poi Visco ha formulato anche la proposta dell’emissione di titoli di debito europei per ritirare dal mercato, senza trasferimenti di risorse, una parte dei titoli emessi dagli Stati membri: una proposta che andrebbe vagliata approfonditamente.

Come accennato, la mutualizzazione anche di parte dei debiti pubblici trova contrari quelli che vorrebbero prima una drastica riduzione dei relativi rischi. I tedeschi sono i portabandiera di tale pregiudiziale: vedremo se il nuovo ministro delle Finanze di Berlino si manterrà sulla stessa linea del ' falco', Wolfgang Schaeuble. Ma questa tesi evoca l’incartamento logico sullo stile del 'comma 22': fortemente ridotti, è probabile che i debiti non avrebbero più alcun bisogno di essere messi insieme. Sono in discussione diverse ipotesi di mediazione, anche attraverso la creazione di un 'superbond' – che racchiuderebbe diverse categorie di titoli pubblici dei partner dell’Eurozona – la cui adozione faciliterebbe i collocamenti; ma non è sicuro che il progetto avrebbe la condivisione tedesca. Molto più convincente è la proposta Visco. Altre ipotesi riguarderebbero il taglio del debito, ma con strumenti di mercato. Altre ancora mirano a superare il Fiscal Compact che, a ben vedere, confligge con i Trattati fondativi dell’Unione, per incidere sulla spesa pubblica nominale. Una Eurozona che rifiuti di mettere in comune almeno una parte dei debiti (ferme restando le responsabilità dei singoli Stati) viene meno a una delle sue ragion d’essere; disconosce la solidarietà tra Stati e all’interno degli stessi, perché alla fine più colpite dalle conseguenze di un debito sproporzionato rispetto al Pil sono le classi deboli e le future generazioni; dimentica, nel contempo, il principio di sussidiarietà, un pilastro del Trattato di Roma, imponendo solo vincoli centrali. Un deciso cambio di strategia sul debito, in Italia, va accompagnato, dunque, da un altrettanta decisa innovazione a livello comunitario.

(nono intervento di una serie dedicata al nodo del debito pubblico)


Questo articolo fa parte del dibattito sul tema del debito pubblico che continuerà a più voci e con diverse posizioni.

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