venerdì 16 febbraio 2018
Fatalità o colpa? Un confronto sull'origine del problema
Un'operazione-verità sul debito pubblico per ottenere giustizia
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Caro direttore, la sua idea di aprire su Avvenire uno spazio pubblico di confronto sul tema del debito pubblico italiano è da salutare molto positivamente, soprattutto nell’imminenza di un appuntamento elettorale che dovrebbe vedere le forze politiche cimentarsi esattamente su questo tema, anche se esse appaiono in tutt’altre faccende affaccendate. Il professor Leonardo Becchetti, intervenuto recentemente su queste pagine, ha più di una ragione quando dice che sul debito pubblico occorre «un’operazione di verità». In questo senso sono andati anche l’intervento iniziale di Francesco Gesualdi e, ognuno a suo modo e per la propria parte, quelli sin qui successivi di Benedetto Gui (Istituto Sophia), Rocco Artifoni (Ardep) Mario Lettieri e Paolo Raimondi. Ed è proprio questo lo scopo primario per cui, da più di un anno, è nato Cadtm Italia (Comitato per l’annullamento dei debiti illegittimi), che, a fine gennaio scorso, ha tenuto un importante convegno internazionale svoltosi a Pescara dal titolo 'La questione del debito globale'.

Nel corso della giornata, organizzata anche dalla Arcidiocesi di Pescara-Penne, si è affrontato, con grande competenza, il tema fondamentale e disatteso dei nostri tempi: il debito e il legame con le disuguaglianze, lo sfruttamento lavorativo, le ingiustizie sociali e il bisogno di un Giubileo. Fondamentale è stato anche il contributo del cardinale Peter K.A. Turkson, prefetto del Dicastero per lo sviluppo umano integrale, il quale, in una lettera inviata ai convegnisti, ha sottolineato che il persistere su queste tematiche è già un elemento positivo in quanto il debito alimenta le disuguaglianze ed è un «flagello» che «paralizza lo sviluppo», come ha ricordato il 20 novembre scorso papa Francesco. Facendo mio il metodo insegnatoci proprio dal Santo Padre secondo il quale «la realtà è più importante dell’idea», uso le parole di alcuni convegnisti, iniziando da Marco Bersani.

«Eppure, guardando i dati, non dovrebbe essere difficile approdare a una prima verità. La più importante impennata – un vero e proprio raddoppio – del debito pubblico italiano si è avuta nel decennio 19821991 ed è stata conseguente all’avvento della dottrina liberista con la liberalizzazione dei movimenti di capitali e la progressiva privatizzazione dei sistemi bancari e finanziari: è del 1981 il divorzio fra Ministero del Tesoro e Banca d’Italia, con la fine da parte di quest’ultima del ruolo di acquirente di ultima istanza a tassi d’interesse predeterminati dei titoli di finanziamento emessi dallo Stato. Questo ha provocato un forte innalzamento dei tassi di interesse, che ha fatto passare il nostro rapporto debito-Pil da sotto il 60% (invariato dal 1960) del 1981 a oltre il 120% del 1992. Per scoprire una seconda verità occorre andare a vedere un altro dato: la spesa pubblica. L’idea per cui gli italiani abbiano vissuto al di sopra delle loro possibilità non trova infatti alcun riscontro nella realtà. La spesa pubblica (al netto degli interessi) nel nostro Paese è passata infatti dal 42,1% del Pil nel 1984 al 42,9% nel 1994, mentre nello stesso periodo la media europea vedeva un aumento dal 45,5% al 46,6% e quella dell’Eurozona dal 46,7% al 47,7%».

Come si vede, la spesa pubblica italiana, sia in percentuale assoluta, sia in percentuale di aumento, si è costantemente posizionata a livelli inferiori rispetto al resto dell’Ue e dell’Eurozona (Danilo Corradi). E se la spesa pubblica italiana è stata ulteriormente depredata dall’insieme costituito da sprechi-clientelismo corruzione, ciò ha solo reso ancor peggiori le condizioni di vita delle fasce deboli della popolazione. Più che un problema di spesa pubblica, quello del nostro Paese è un problema di insufficienza di entrate (nel medesimo periodo inferiori di 10 punti a quelle di Francia e Germania http://italia.cadtm.org/wp-content/uploads/2018/01/Storia-debito-italiano.pdf), dovute a una gigantesca evasione fiscale e a una fiscalità che, da allora, ha continuato a scaricarne gli oneri dai grandi patrimoni al mondo del lavoro.

Una terza verità è facilmente riscontrabile, analizzando un’altra categoria: l’avanzo primario. Dal 1990 a oggi, l’Italia ha chiuso il bilancio in avanzo primario 26 volte su 28 (nel 2009 -0,9% e in pareggio nel 2010). Quindi, non solo non ha speso in eccesso, ma addirittura al di sotto delle pur basse entrate. Questo significa che, nel medesimo periodo, gli italiani che hanno pagato le tasse hanno dato allo Stato 750 miliardi in più di quello che hanno ricevuto in termini di servizi. Perché dunque l’Italia continua a essere uno dei Paesi più indebitati al mondo? Per il circolo vizioso degli interessi sul debito che ci ha costretti a pagare, dal 1980 ad oggi, oltre 3.400 miliardi di euro su un debito che continua ad essere di 2.250 miliardi, e che ogni anno si autoalimenta senza soluzione di continuità. Gran parte delle misure prese per la sua riduzione è stata scaricata sui Comuni, nonostante l’apporto di questi al debito pubblico non superi il 1,8%. Con il risultato che, mentre i Comuni, nel periodo 2010-2016, hanno aumentato le imposte locali di 7,8 miliardi, le risorse complessive di cui dispongono sono oggi inferiori di 5,6 miliardi rispetto a quelle che avevano nel 2010 (Cristina Quintavalla).

Perché quest’attenzione da parte della comunità ecclesiale? Perché sia nella prospettiva del magistero sociale che in quella della vita delle comunità cristiane, è chiaro che quello del debito è un tema che incide in profondità nella dignità e nella vita delle persone. È un tema che dietro un’apparenza tecnica, di carattere economico finanziario, parla invece della società, della politica, dei rapporti di giustizia e ingiustizia tra le persone e tra i popoli. Così Massimo Pallottino di Caritas italiana al convegno. Le cose che vengono presentate come tecniche hanno spesso un’apparenza di 'neutralità', che spesso non c’è e che, in ogni caso, in quanto tale non è 'giusta': si può essere 'neutrali' nell’impatto delle politiche nei riguardi dei più poveri e dei più ricchi membri di una comunità sociale? La disuguaglianza produce il sentimento di chi si vede escluso e respinto, che non trova ascolto, e che trova paradossale sfogo in un nuovo identitarismo o nella ricerca di un leader forte (per assurdo spesso espresso da quelle stesse élite ricche che in realtà non hanno alcun interesse a cambiare i meccanismi di ingiustizia globale).

Sullo sfondo di questo spaventoso squilibrio c’è il tema della nostra 'casa comune': la finitezza del pianeta su cui viviamo, con un uso delle risorse che mette a serio repentaglio le possibilità di sopravvivenza delle generazioni future, all’interno di vincoli resi ogni giorno più stringenti dal cambiamento del clima, causato esso stesso dall’attività dell’uomo. Ed è su questo piano che la diseguaglianza esprime le conseguenze più tragiche: sono i più poveri e vulnerabili a vedere compromessa la loro stessa sopravvivenza. Come dice papa Francesco «non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale» ( Laudato si’ 139) a cui dobbiamo fare fronte! «Non basta conciliare, in una via di mezzo, la cura per la natura con la rendita finanziaria, o la conservazione dell’ambiente con il progresso. Su questo tema le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro». ( Ls 194). Per questo il Cadtm Italia propone un confronto pubblico sul tema e indica la strada dell’Audit o indagine sul debito pubblico affinché si accerti chi ha pagato finora questo debito e chi dovrà d’ora in poi pagarlo perché una globalizzazione senza una regolamentazione, rende, cito ancora il Papa, «la finanza internazionale sovrana delle regole democratiche».

*Arcivescovo di Pescara-Penne, Cadtm Italia (Il presente articolo è il sesto di una serie dedicata al tema del debito pubblico italiano)


Questo articolo fa parte del dibattito sul tema del debito pubblico che continuerà a più voci e con diverse posizioni.

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