sabato 4 marzo 2023
Consigliera comunale a Herat, il marito morto in un attentato, è fuggita grazie a una catena di aiuto tutta al femminile. «Io e la mia terra non riposeremo un attimo finché la gente non sarà libera»
Sakine e la figlia Fatima

Sakine e la figlia Fatima - Per gentile concessione di Sakine Hosseini

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Con questa e decine di altre testimonianze, storie, interviste e lettere, le giornaliste di Avvenire fino all'8 marzo daranno voce alle bambine, ragazze e donne afghane. I taleban hanno vietano loro di studiare dopo i 12 anni, frequentare l'università, lavorare, persino uscire a passeggiare in un parco e praticare sport. Noi vogliamo tornare a puntare i riflettori su di loro, per non lasciarle sole e non dimenticarle. E per trasformare le parole in azione, invitiamo i lettori a contribuire al finanziamento di un progetto di sostegno scolastico portato avanti da partner locali con l'appoggio della Caritas. QUI IL PROGETTO E COME CONTRIBUIRE

Una fuga con la figlia per darle un futuro, l’impegno politico come consigliere comunale a Herat prima che arrivassero i taleban, pagato con attacchi e insulti, la nuova vita in Italia e la determinazione a continuare a lottare per il proprio Paese. Sakine Hosseini ha 41 anni e, grazie all’impegno congiunto di politici, diplomatici e vertici delle Forze Armate, è riuscita a scappare dall’Afghanistan con la figlia Fatima, 15 anni, e i genitori. Il marito lo ha perso anni fa, ucciso da un attentato organizzato dai taleban.

La sua è stata una fuga complessa, organizzata quando il contingente italiano aveva già lasciato il Paese e dove le donne, in modo diretto e indiretto, hanno un ruolo fondamentale. Un lavoro di team, che si è andato sviluppando durante questa complessa vicenda e che all’inizio ha visto protagonista la Maggiore dell’esercito, Marianna Calò e l’europarlamentare Cinzia Bonfrisco. Ma non solo. Per riuscire a venire in Italia, è dovuta passare temporaneamente dall’Iran, dove la console italiana a Teheran le ha procurato un visto per entrare nel nostro Paese. Il confine lo ha passato con il burqa e, visto che i taleban non potevano controllarla e in quel momento non erano ancora coadiuvati da donne ai posti di blocco, se la sono fatta scappare sotto il naso.

Ci sono altri due angeli nella storia di Sakine e sua figlia. La prima è l’ex sottosegretario alla Difesa, Stefania Pucciarelli, che ha inserito il nome di Sakine negli elenchi del ministero della Difesa per poterla fare entrare in Italia, e la presidente della Fondazione Bellisario, Lella Golfo, che l’ha aiutata a trovare l’ambiente migliore per ricostruire la sua vita.

Ad Avvenire ha raccontato quanto sia stato difficile lasciare il suo Paese, la frustrazione di non poter aiutare concretamente chi non ha avuto la possibilità di scappare, la paura che tante donne, per non finire sotto la persecuzione dei taleban, decidano di rinunciare ai loro diritti. Con una ammissione dolorosa: la comunità internazionale si è dimenticata dell’Afghanistan.

Sakine, lei è scappata dall’Afghanistan con sua figlia Fatima a causa dell'impegno politico. Come è stato lasciare il suo Paese?

È stato molto difficile per me e oggi è difficile descrivere e ricordare quel giorno in cui ho deciso di partire e in cui ho affrontato mille pericoli. C'era la possibilità di essere arrestata, catturata e persino uccisa. A questo si deve aggiungere il dover allontanare il cuore dalla mia terra e dalla mia gente. Ho dovuto lasciare il mio paese per sopravvivere ed essere la voce del popolo oppresso. Quando ho salutato i miei familiari, non avevo più alcuna speranza, come se fosse l'ultimo incontro. Non ho potuto dire addio ai miei amici e ai miei vicini, soprattutto, mi mancano le persone che mi hanno sostenuto e mi hanno aiutato. Ma io e la mia terra non riposeremo un momento finché la situazione non cambierà a beneficio della gente.

Vi sentivate in pericolo in Afghanistan? Com'era la vostra vita?

Sì, ho affrontato molti rischi in Afghanistan, in primo luogo perché ero una donna. Molti denigrano le donne che lavorano fuori casa, ed era molto pesante, ma a me non importava. A volte sono stata insultata, umiliata e persino attaccata, ma grazie a Dio non sono stata aggredita fisicamente, anche se le conseguenze psicologiche hanno lasciato il segno. Tutta la mia vita è stata una lotta, ho cercato di apportare un cambiamento positivo alla situazione delle donne e delle ragazze nel mio paese.

Com'è la vostra vita ora in Italia?

Vivere all'estero è molto difficile, ci sono differenze linguistiche e culturali, e a volte ho la sensazione di aver fatto un errore quando sono arrivata perché sento di vivere una morte silenziosa, ma ancora una volta ringrazio Dio di essere in un posto sicuro, ringrazio sinceramente le persone e il governo italiano e soprattutto gli amici che ci hanno salvato.

Continuate a sentire i vostri contatti in Afghanistan?

Sì, sono in contatto, consapevole delle sofferenze e della difficile situazione che le persone stanno attraversando, che le ragazze non possono andare a scuola. Le donne e le ragazze non hanno il diritto di andare all'università né a lavorare. Ricordo le donne che hanno perso il marito. Non riesco a dormire. A volte ricevo messaggi o chiamate. Non posso fare nulla per la loro sofferenza. A volte vorrei condividere il mio pane con loro. La migrazione forzata, la tortura e l'arresto di ex soldati, stanno colpendo i loro familiari. Purtroppo i paesi hanno deciso di dimenticare l'Afghanistan, ma io credo che questa situazione cambierà, la fine della notte oscura è l'alba.

Sua figlia Fatima ama studiare e le mancava molto non andare a scuola. Quali sono i suoi progetti di studio e lavoro per il futuro?

Mia figlia vuole diventare un medico in futuro e si sta impegnando molto in questo momento. Ed è davvero felice di poter andare a scuola. Ma sono preoccupata per il costo della sua istruzione perché a volte mi vergogno davvero di non poter avere le provviste di cui ha bisogno e questo è un grande dolore.

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