sabato 8 aprile 2023
Un quarto di secolo dopo, il terremoto politico della Brexit ha gettato nuove ombre sul futuro. Da oltre un anno gli unionisti del Dup paralizzano l’assemblea e l’esecutivo dell’Irlanda del Nord
Il premier britannico Tony Blair e il collega irlandese Bertie Ahern firmano l’accordo di pace il 10 aprile 1998 a Belfast

Il premier britannico Tony Blair e il collega irlandese Bertie Ahern firmano l’accordo di pace il 10 aprile 1998 a Belfast - Ansa

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Erano le 17,36 del 10 aprile 1998 quando il senatore statunitense George Mitchell uscì dalle stanze del palazzo di Stormont e annunciò davanti alle telecamere di tutto il mondo che l’accordo di pace era stato sottoscritto. La più lunga guerra europea del XX secolo, che affondava le radici nei secoli precedenti, poteva dirsi finalmente conclusa. La fase decisiva dei negoziati era durata trenta ore ininterrotte e fino all’ultimo aveva rischiato di saltare facendo precipitare di nuovo l’Irlanda del Nord nel caos. Gli unionisti guidati da David Trimble erano stati sul punto di andarsene ma il premier britannico Tony Blair era riuscito a trattenerli mettendo per iscritto vincoli temporali precisi sullo smantellamento degli arsenali dell’Ira. A Belfast il vento della storia soffiava forte in quei giorni e nel corso delle trattative un gruppo di bambini aveva legato ai cancelli del palazzo di Stormont palloncini colorati e cartelli che invocavano la pace. Un corrispondente statunitense osservò che mentre a Dayton serbi, croati e musulmani avevano fatto la pace in Bosnia sotto la minaccia dei bombardieri americani, a Belfast i negoziatori erano stati costretti a mettersi d’accordo per non deludere quei bambini.

La fase decisiva del processo di pace anglo-irlandese, durata quasi due anni, era stata innescata dalla constatazione dello stallo bellico, poiché i britannici si erano resi conto che non avrebbero potuto sconfiggere la resistenza repubblicana mentre quest’ultima non sarebbe riuscita a costringere militarmente gli inglesi al ritiro. Ma a favorirla furono anche la fine della Guerra fredda e gli effetti economici di lungo periodo dell’adesione della Repubblica d’Irlanda all’Ue, che avevano trasformato profondamente un Paese un tempo povero e agricolo. La prima scintilla del processo di pace risaliva addirittura al 1981, quando un prigioniero politico di nome Bobby Sands era stato eletto al Parlamento di Westminster durante lo sciopero della fame in carcere che l’avrebbe condotto alla morte. Oltre 30mila voti avevano suggellato il suo martirio convincendo il movimento repubblicano irlandese che la guerra si poteva vincere anche con le armi della democrazia. Quella pace che a molti era sembrata un’utopia irraggiungibile aveva avuto tanti artefici. Alcuni dei quali dimenticati, come padre Alec Reid, il redentorista di Belfast la cui azione diplomatica segreta fu decisiva per convincere la leadership dell’IRA ad avviare un dialogo con il governo britannico e con la comunità presbiteriana, favorendo il primo storico avvicinamento tra due mondi a lungo inconciliabili.

Ma le firme in calce a quello storico accordo – poi ratificato anche da due referendum dall’esito quasi plebiscitario - non sarebbero bastate a seppellire i fantasmi del passato. Anche quella guerra aveva il veleno nella coda. L’estate del 1998 avrebbe causato altre morti innocenti: prima gli attacchi settari dei lealisti protestanti con tre bambini arsi vivi nella loro casa di Ballymoney, poi la terribile mattanza di Omagh ad opera dei dissidenti repubblicani della Real Ira. Il nuovo governo autonomo composto da repubblicani irlandesi e unionisti filo-britannici entrò in funzione per la prima volta alla fine del 1999. Da allora le istituzioni di Belfast sono state sospese molte volte a causa dell’ostruzionismo degli unionisti ma la pace non è mai stata messa seriamente in discussione e l’attuazione dell’Accordo ha favorito un cambiamento radicale in tutta l’isola.

Quella del conflitto in Irlanda del Nord è una storia di intransigenze tenaci che svaniscono e di odi ancestrali che a poco a poco si trasformano in rispetto, talvolta persino in amicizia, di fronte all’impegno ostinato per arrivare alla pace. Ed è anche una storia di falchi che diventano colombe come il reverendo Ian Paisley, che dopo aver fomentato l’intolleranza per decenni ed essere stato il più acceso oppositore di qualunque forma di dialogo, si trasformò in un anziano leader affabile e sorridente deciso a condividere la guida del governo con l’acerrimo nemico di un tempo, l’ex comandante dell’Ira Martin McGuinness. Venticinque anni dopo, il terremoto politico della Brexit ha però gettato nuove ombre sul futuro. Da oltre un anno gli unionisti del Dup paralizzano l’assemblea e l’esecutivo dell’Irlanda del Nord e le sporadiche violenze recenti rappresentano un segnale d’allarme da non sottovalutare.

Martedì prossimo Joe Biden arriverà a Belfast per sottolineare i progressi compiuti dal 1998 proprio adesso che l’Accordo del Venerdì Santo scricchiola e lo stesso senatore Mitchell, che ne fu il grande architetto, ritiene che oggi dovrebbe essere in parte rivisto. Intanto la polizia nordirlandese ha lanciato un allerta per possibili attacchi in questi giorni. Simon Byrne, numero uno della polizia, ha puntato il dito in particolare contro le frange irriducibili, prima fra tutte la Real Ira.


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