venerdì 12 aprile 2024
Libertà integrale della donna, dignità della persona umana, diritto alla vita come fondamento di ogni altro diritto in ogni democrazia: parla la presidente della Federazione europea "One of us"
Uno scorcio dell'aula di Strasburgo durante una pausa dei lavori dell'assemblea parlamentare

Uno scorcio dell'aula di Strasburgo durante una pausa dei lavori dell'assemblea parlamentare - Ansa

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Fondata da Carlo Casini, la federazione «One of us» (Uno di noi) è ora presieduta dalla figlia, che è anche a capo del Movimento per la Vita italiano. È nella sua veste di portavoce delle associazioni pro life dei 27 Paesi Ue che Marina Casini interviene sul voto col quale il Parlamento europeo ha chiesto al Consiglio di inserire nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione anche quello di abortire.

Presidente, cosa significa questo voto, dal punto di osservazione dei movimenti per la vita europei?

Significa che dobbiamo impegnarci di più e meglio; che dobbiamo attrezzarci migliorando i nostri strumenti e la nostra presenza; che i popoli della vita d’Europa devono tendere a una più stretta collaborazione, maturando uno stile, un metodo e un linguaggio comuni che rendano credibile e attraente per tutti il messaggio sul valore di ogni vita umana. Significa anche che dobbiamo armarci di umiltà, pazienza, tenacia, coltivando – nonostante tutto – la fiducia e la speranza in una vittoria definitiva – non sappiamo quando – della cultura della vita. So che queste parole possono sembrare ingenue, ma non è sostenibile, neanche pensabile, una battaglia di questo tipo senza essere animati dalla convinzione che il male si vince con il bene e che il bene si fa largo secondo logiche che non sono sotto il nostro controllo.

Marina Casini, presidente della federazione europea 'One of us' e del Movimento per la Vita italiano

Marina Casini, presidente della federazione europea "One of us" e del Movimento per la Vita italiano - Agenzia Romano Siciliani

Come giudica la decisione di Strasburgo?

Il voto del Parlamento Europeo è esattamente il contrario di ciò di cui c’è bisogno. La Federazione europea “One of Us” comprende oltre 50 associazioni, la maggior parte delle quali è impegnata nei diversi Paesi nell'assistenza alle donne in gravidanza e che si trovano in difficoltà. Le donne hanno il diritto di essere aiutate, di trovare una mano tesa, di essere libere di accogliere i propri figli. Hanno il diritto di non abortire. La risoluzione del Parlamento Europeo ignora tutto questo e costituisce a livello culturale un forte elemento di pressione a favore dell’aborto rendendo la donna vittima insieme a suo figlio. Sappiamo ormai che l’aborto provoca una profonda ferita nell’animo della donna. Siamo costretti a lavorare in condizioni difficilissime e l’assedio spesso toglie il fiato, ma la posta in gioco è enorme perché il diritto a nascere è la “pietra di paragone”, la “cartina di tornasole”, il “sigillo di autenticità” di ogni altro impegno a servizio dell'uomo, della donna, della società.

Quali sono per voi i diritti che l’Europa dovrebbe riconoscere sul fronte della vita umana?

Logicamente e cronologicamente il più fondamentale di tutti è il diritto alla vita, che nel caso di specie si declina come diritto a nascere. Basta sfogliare le moderne carte sui diritti dell’uomo, a partire dalla Dichiarazione universale e dalla Convenzione europea, per rendersene conto. Ma il vero problema non è tanto affermare che esiste il diritto alla vita quanto riconoscere che fin dal concepimento c’è un essere umano il cui valore, chiamato dignità, è uguale a quello di tutti gli altri. Se il bambino concepito non viene riconosciuto come uno di noi – qui viene anche tutto l’impegno del Movimento per la Vita italiano - è chiaro che non è considerato tra i titolari del diritto alla vita. Da qui discendono anche altri diritti: il diritto della donna a essere liberata dai condizionamenti che la spingono ad abortire, in modo che sia davvero libera di dire “sì” al suo bambino; il diritto alla salute psichica della donna, violato con la pratica dell’aborto; il diritto all’obiezione di coscienza sanitaria; il diritto di ogni bambino ad avere un padre e una madre (questo riguarda specialmente il tema della procreazione cosiddetta “medicalmente assistita”), che si concretizza nel diritto all’identità psicologica ed esistenziale. Questo è un nucleo di diritti fondamentali, a cui però vanno aggiunti i diritti legati alla malattia e alla disabilità che non riguardano certo eutanasia e suicidio assistito (altri falsi diritti) ma l’accesso alle terapie e alle cure, a un’adeguata assistenza sanitaria e più in generale psicologica, affettiva e spirituale, alle cure palliative... Poi ci sono tutti gli altri diritti che riguardano altri importanti aspetti della vita personale e sociale, ma se non è chiaro che l’uomo è sempre uomo dal concepimento, che dire “persona” è come dire “essere umano”, che la dignità umana è uguale per tutti, allora tutti i diritti crollano o, peggio, diventano un campo di battaglia a favore dei più forti a danno dei più deboli.

Sulle frontiere della vita umana – la vita prima della nascita e verso la sua conclusione – si concentra un dibattito che fa perno sulla questione di ciò che si può e non si può fare in società pluraliste e “aperte”. Quali criteri sono necessari per capire e decidere cosa va fatto e dove fermarsi?

Il pluralismo va benissimo, è una risorsa e una ricchezza. Quello che è inaccettabile – proprio perché “anti plurale e “anti aperta” – è la cultura dello scarto, cioè il rifiuto, l’esclusione, l’eliminazione di categorie di esseri umani in nome di alcune caratteristiche o circostanze, e addirittura perché non riconosciuti neanche come esseri umani. Una società inclusiva è veramente pluralista e accogliente. Il senso della laicità e della democrazia sostanziale (cioè una democrazia che non voglia ridursi solo a conta numerica) è tutto qui: il valore della vita umana è percepibile dalla ragione ed è fondamento della società civile. Perché allora non dire – sto provocando... – che la tratta delle donne, le mutilazioni genitali femminili, la pena di morte, il turismo sessuale minorile, e tante altre cose ancora che calpestano la dignità umana, sono questione “privata”, di opinioni e scelte personali? Ognuno è o no libero di fare come gli pare? Giustamente, invece, si ritiene che si tratti di comportamenti da censurare. Il motivo alla radice è sempre lo stesso: la dignità umana, inerente e uguale, timbro indelebile di ogni essere umano e ragione per cui ogni essere umano è sempre persona, soggetto, fine e mai cosa, oggetto, mezzo. Poi, certo le situazioni e le problematiche sono diverse, e spesso ci troviamo di fronte a una complessità non semplice da affrontare, ma la bussola orientatrice per risolvere anche tutti gli altri urgenti e gravi problemi è sempre il valore della vita umana, con ciò che ne consegue in termini di solidarietà, aiuti, premure, attenzioni...

I fautori della risoluzione all’Europarlamento affermano che il “diritto di abortire” non è un obbligo e serve solo per assicurare che chi sceglie di interrompere una gravidanza possa farlo senza incontrare ostacoli. Cosa risponde?

Che di fatto non è così, e già lo vediamo. Introdurre il “diritto di aborto” significa debilitare le motivazioni, le ragioni e le risorse dell’accoglienza di un nuovo essere umano che vive e cresce nel grembo della sua mamma, e quindi l’aiuto alle donne in difficoltà; significa mettere al bando il diritto di sollevare obiezione di coscienza, con conseguente mortificazione degli obiettori; significa negare cittadinanza alle associazioni a favore della vita nascente e della maternità durante la gravidanza; significa marcare il varco da cui passano o si rafforzano tutte le altre violazioni dell’uomo; significa distruggere la sorgente di ogni solidarietà; in definitiva, significa legittimare senza scrupoli logiche di violenza. Tutto si tiene. “Che cosa ci resta”, si chiedeva madre Teresa, grande donna e grande santa, se la società permette a una madre di sopprimere il bimbo nel suo seno? È chiaro che non è un giudizio sulle donne ma su una mentalità nociva. Ebbene, “cosa ci resta”? Bisogna cercare di fare un salto si civiltà uscendo dai paradigmi dogmatici dei falsi diritti.

Sulla procreazione si è creato un mercato e si combattono battaglie a forte contenuto ideologico. Qual è l’approccio delle realtà associative nazionale federate in “One of us” rispetto a questi temi?

A essere ideologica è anzitutto questa risoluzione, che tra l’altro viola il principio di sussidiarietà entrando a gamba tesa in una materia che non le compete. L’approccio delle realtà che compongono la federazione “One of us” è un approccio positivo, costruttivo, propositivo, cercando di far sentire una voce persuasiva e forte in favore della vita e rimuovere così l’indifferenza e la rassegnazione. Si tenga conto che, come ho detto prima, che gran parte delle associazioni svolgono sul campo un’attività di sostegno alle maternità difficili accompagnando le mamme alla nascita dei bimbi. Ci sono testimonianze molto belle, che mettono in risalto la potenza della condivisione, perché tutto avviene con le donne e non contro di loro. Sono donne che – come è anche collaudata esperienza del Movimento per la Vita – vivono una piena libertà nella gratitudine. Rispetto alle istanze ideologiche che pretendono di includere l’aborto nel catalogo dei diritti, già questa è una luminosa rivoluzione culturale, che fa ben sperare.

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