mercoledì 24 gennaio 2024
I lavoratori riempirebbero il vuoto lasciato dopo il massacro del 7 ottobre, dato che molte persone non hanno visto rinnovati i loro permessi
Operai edili in un insediamento vicino a Gerusalemme

Operai edili in un insediamento vicino a Gerusalemme - Ansa

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Prima della guerra, circa un terzo dei lavoratori nel settore dell'edilizia in Israele erano palestinesi, ma dopo il massacro di Hamas del 7 ottobre, i permessi di lavoro sono stati cancellati per chi vive nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania. Così il Paese sarebbe pronto ad assumere tra i 10mila e i 20mila i cittadini indiani nei prossimi mesi per colmare il vuoto. Lasciato anche da migliaia di thailandesi che sono rientrati in patria dopo l'attacco dei terroristi. «L'India sarà uno, se non il più grande fornitore di lavoratori dell'edilizia a Israele nei prossimi anni», ha dichiarato al Washington Post Shay Pauzner, vicedirettore generale della Israel Builders Association.

La decisione di Israele di assumere lavoratori dall'India riflette anche un miglioramento nelle relazioni tra i due Paesi negli ultimi anni. Anche prima del sostegno mostrato pubblicamente a Israele dal primo ministro indiano Narendra Modi dopo l'attacco di Hamas, a maggio i due Paesi avevano firmato un accordo per l'invio di 42mila lavoratori edili e infermieri indiani con stipendi che vanno dai 1.400 ai 1.700 dollari al mese. In Israele risiedono ora circa 17mila lavoratori indiani che operano soprattutto nel settore infermieristico. «E' solo l'inizio e l'obiettivo è molto più ampio», ha detto un funzionario del governo indiano a condizione di anonimato al Washington Post.

Funzionari del governo israeliano hanno negato, parlando a condizione di anonimato, che si tratta di una mossa esplicita per sostituire i palestinesi con i lavoratori indiani, «ma la situazione attuale ha le sue esigenze», hanno detto, e «ovviamente c'è una sensazione di maggiore urgenza».

Prima della guerra, secondo l'Organizzazione Internazionale del Lavoro. Un «massimo storico» di 193mila palestinesi lavoravano in Israele e negli insediamenti israeliani. Un quinto della forza lavoro della Cisgiordania era impiegata in Israele. Numeri precipitati dopo lo scoppio della guerra. «Far entrare in Israele lavoratori provenienti da un territorio con una popolazione nemica durante una guerra è un errore terribile che costerà sangue», aveva affermato un deputato di opposizione nel gabinetto di guerra, Gideon Saar, al Times of Israel. Molti funzionari della sicurezza stanno spingendo perché vengano riattivati in maniera significativa i permessi di lavoro per i palestinesi. Il timore è che, senza stipendi, possa aumentare la rabbia in Cisgiordania e quindi gli episodi di violenza già aumentati dopo la guerra nella Striscia di Gaza. Anche il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu era intenzionato a lanciare un programma pilota che consentisse ad alcuni palestinesi controllati di tornare al loro lavoro, ma i deputati di destra e una decina di membri del suo stesso partito, il Likud, si sono opposti.

I funzionari del governo indiano e le agenzie di reclutamento che si stanno occupando di monitorare il trasferimento di lavoratori in Israele sostengono che non ci sono restrizioni su base religiosa, ovvero che non ci sono limitazioni per i musulmani. Sindacati e attivisti indiani hanno criticato duramente la campagna di assunzioni in Israele dove, affermano, ci sono condizioni pericolose per i lavoratori. Per altri sindacati, inoltre, lavorare in Israele sarebbe un segnale di «complicità con la guerra genocida contro i palestinesi».




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