Benny Gantz abbraccia la parente di un ostaggio a Tel Aviv - REUTERS
Siamo alla resa dei conti nel governo di guerra israeliano. Tre giorni dopo l’alzata di scudi del ministro della Difesa Yoav Gallant, che ha intimato al premier Benjamin Netanyahu di smentire una presenza civile o militare nel dopoguerra a Gaza, è il centrista Benny Gantz a mettere spalle al muro il capo del governo. Accusandolo di non avere una strategia per combattere Hamas e di essersi legato mani e piedi agli estremisti di destra ultraortodossi, i ministri Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir, che vogliono il ritorno dei coloni nella Striscia. Le accuse sono tanto più pesanti in quanto arrivano dai due membri del gabinetto di guerra ristretto che, soli oltre al premier, hanno il diritto di voto. Non solo: il leader dell'opposizione Yair Lapid ha chiesto allo stesso Gantz di lasciare il governo.
Quali sono le condizioni poste per “salvare” il governo? Gantz vuole un piano d’azione su Gaza in sei punti «entro l’8 giugno» per riportare a casa gli ostaggi, abbattere Hamas e smilitarizzare Gaza e che ci sia una direzione Usa-Ue-araba-palestinese che getti le basi di un’alternativa futura a Gaza che non sia né Hamas né Abu Mazen». Il premier Netanyahu replica a Gantz e lo accusa di «lanciare un ultimatum al primo ministro invece di lanciare un ultimatum a Hamas». L'ufficio di Netanyahu afferma in una dichiarazione che le richieste di Gantz significherebbero «la fine della guerra e la sconfitta per Israele, l'abbandono della maggior parte degli ostaggi, la permanenza di Hamas al potere e la creazione di uno Stato palestinese». Il premier ribadisce che «si oppone all'introduzione dell'Autorità Palestinese a Gaza e alla creazione di uno Stato palestinese che sarà inevitabilmente uno Stato terroristico». Perciò Netanyahu - prosegue il comunicato - ritiene che il governo di unità nazionale sia fondamentale per raggiungere gli obiettivi della guerra, «e si aspetta che Gantz renda chiare al pubblico le sue posizioni su questi temi».
Nei mesi scorsi i sondaggi davano Gantz “premier in pectore” in caso di elezioni. Dopo l’esternazione di Gallant, il primo nelle preferenze è diventato lui. Una rilevazione commissionata da Channel 12 gli riconosce il 43% di gradimento, con Gantz sceso al 35% e Netanyahu al 32%. L’uscita di Gantz è arrivata a sera, dopo il silenzio dello Shabbat durante il quale si è pianto il rientro a casa dei tre cadaveri recuperati a Gaza venerdì. Sull’operazione vige un rigoroso riserbo, poiché la ricerca dei corpi prosegue: ieri è stato recuperato il corpo di un altro ostaggio, Ron Binyamin. L’unico dettaglio emerso è che i resti si trovavano in una borsa.
Si era già capito, ora è esplicito: i negoziati per una tregua si sono interrotti. L’ha annunciato la televisione Kan 11, lo scrive Haaretz. Citano entrambi alti funzionari a conoscenza del dossier sulle trattative per gli ostaggi. I colloqui «sono attualmente in un vicolo cieco e non ci sono progressi», confida una fonte ad Haaretz. L’intelligence egiziana e il Qatar, mediatori per conto Hamas, avrebbero verificato l’impossibilità di conciliare posizioni troppo distanti. «Le differenze sulle condizioni per il rilascio degli ostaggi sono molto ampie – ha detto Kan 11 –, soprattutto sulla “fine della guerra” e sulla richiesta di Israele di porre il veto sui nomi dei terroristi di cui Hamas potrebbe chiedere il rilascio». Gli Stati Uniti sono convinti, ha detto il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, che il capo di Hamas a Gaza, Yahya Sinwar, si sia ritirato dai colloqui nella speranza di intensificare la pressione su Israele per porre fine alla guerra. Dopo una tappa a Riad, a colloquio con l’alleato saudita Mohammed bin Salman, oggi Sullivan atterra in Israele per incontrare il premier Benjamin Netanyahu. Sul tavolo, l’offensiva a Rafah e la situazione umanitaria nell’enclave.
Sui media israeliani si discute dei piani per il dopoguerra a Gaza. Un documento visionato dal giornale libanese al-Ahkbar, vicino al gruppo Hezbollah filoiraniano, svela i dettagli del piano concordato a metà aprile tra americani e sauditi. La prima fase prevedeva il cessate il fuoco, l’avvio del riconoscimento dello Stato palestinese, l’accettazione da parte di Israele di un’amministrazione di Gaza affidata all’Autorità nazionale palestinese (Anp) e a tecnocrati, lo scambio tra ostaggi e detenuti. A seguire, la normalizzazione dei rapporti fra Tel Aviv e Riad, la ricostruzione della Striscia e la smilitarizzazione di Hamas che verrebbe integrata in un’Anp riformata. Il piano sarebbe stato condiviso anche dai “sei arabi”: oltre ad Arabia e Anp, anche Giordania, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Qatar.
Da giorni le Forze di difesa sono operative in diverse aree della Striscia, in particolare nella zona di Rafah a Sud e in quella di Jabaliya a Nord. Avrebbero localizzato tunnel, depositi di armi ed esplosivi e ucciso «cinquanta terroristi». Nelle ultime due settimane sarebbero stati distrutti a Rafah 1.400 edifici, secondo una stima basata sull’analisi dei dati satellitari diffusa da Abc Go. I ricercatori hanno calcolato in 18.176 (su 48.678, pari al 37%) gli edifici danneggiati nella sola Rafah in sette mesi e mezzo di guerra. Dall’inizio dell’operazione militare sono 800mila i palestinesi fuggiti da Rafah.
Da parte dei miliziani, sono proseguiti lanci di missili Rpg contro le postazioni israeliane. Per il ministero della Salute di Hamas, sono 83 i morti palestinesi in ventiquattr’ore, per un bilancio di 35.386 vittime e 79.366 feriti. Infine un segnale di speranza. Il cardinale Pierbattista Pizzaballa celebrerà oggi la Messa di Pentecoste e conferirà le Cresime nella parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza.