venerdì 7 giugno 2024
Nei primi sei mesi di quest'anno 174mila migranti hanno attraversato il confine tra Colombia e Panama. Spesso finiscono in mano si criminali, ma il presidente Mulino vuole il pugno di ferro
Migranti guadano il fiume Turquesa nella foresta del Darién

Migranti guadano il fiume Turquesa nella foresta del Darién - Ansa

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«Il Darién Gap non è un posto per i bambini». Lo ricorda amaramente Ted Chaiban, vice-direttore generale dell’Unicef, in occasione della pubblicazione di un rapporto del Fondo delle Nazioni Unite sulle rotte dei migranti verso gli Usa. Da gennaio ad oggi sono 174mila i migranti, di cui oltre 30mila minorenni, che hanno attraversato la giungla tra Colombia e Panama per fuggire dalla violenza e dalla crisi socioeconomica dei loro Paesi di origine, soprattutto Venezuela (oltre 113mila), Ecuador (12.300) e Haiti (9.980), e salire lentamente verso il Messico sperando di sbarcare un giorno gli Stati Uniti. Una regione, quella del Darién che segna il confine naturale tra l'America Centrale e il Sudamerica.

La realtà per loro è ancora più dura e si scontra con i proclami del neopresidente panamense José Raúl Mulino che promette il “pugno di ferro” e assicura che il corridoio verrà chiuso. L’esodo però è inarrestabile. Secondo il servizio nazionale per la migrazione, solo nei primi sei giorni di giugno sono arrivate 4.499 persone, di cui 901 minori. Spiega l’Unicef che gli ultimi dati dimostrano un aumento del 40 per cento rispetto allo scorso anno, e circa 2mila di questi bambini erano non accompagnati. «Molti di loro sono morti durante questo viaggio arduo e pericoloso», spiega ancora Chaiban. «Quelli che sopravvivono arrivano malati, affamati e disidratati, spesso con ferite o infezioni e con un disperato bisogno di assistenza». Quasi in contemporanea è stato pubblicato anche un rapporto di monitoraggio dall’Ufficio del Difensore civico. Viene espressa “seria preoccupazione” per la situazione dei bambini e degli adolescenti che viaggiano nella giungla del Darién. È segnalata anche la presenza di gruppi criminali organizzati che esercitano sistematicamente violenza fisica e psicologica contro i migranti con estorsioni, intimidazioni, umiliazioni, torture, e rapine. Poco più di 100 chilometri che vengono definiti “tappo”, “buco”, perché sono l’unica interruzione della Panamericana, l’enorme autostrada che attraversa tutto il Continente, dall’Alaska alla punta meridionale dell’Argentina. Quel tratto, al confine tra Panama e Colombia, è rimasto non asfaltato. Era considerato troppo ostile per costruirci una strada. Montagne ripide, paludi fangose, alti livelli di umidità, ma anche serpenti velenosi, giaguari, puma. Ogni anno migliaia di persone attraversano quella che è considerata una delle rotte più pericolose del mondo. L’anno scorso sono state 520mila, per lo più in fuga da Venezuela, Ecuador, Haiti e Cina.

Jose Raul Mulino, che si insedierà il primo luglio, ha rivendicato: «Panama - e il nostro Darién - non è una via di transito. No signore, quella è la nostra frontiera». E ha aggiunto: «Perché chi viene da lì sappia che chi arriva qui tornerà nel suo Paese d'origine». Qualche giorno fa anche il suo futuro ministro della Sicurezza, Frank Abrego, ha precisato: «Abbiamo già avviato una serie di studi attraverso organizzazioni internazionali e il presidente eletto ha avuto alcuni contatti a livello diplomatico, presto presenteremo il nostro progetto». Poi si è affrettato a precisare: «Il programma di espulsioni di massa che accompagna la proposta di chiudere il Darién verrà portato avanti nel rispetto dei diritti umani». Non è una novità. Già durante la campagna elettorale, Mulino aveva promesso di rende non più attraversabile il passaggio. «Se Donald Trump tornerà alla presidenza negli Stati Uniti, gli chiederò di “gettare una palata di cemento” per costruire un altro muro», aveva scherzato Mulino qualche settimana prima di essere eletto. Le organizzazioni per i diritti umani sottolineano che la chiusura della frontiera rischia di rendere ancora più pericolosa la traversata.

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