domenica 14 marzo 2010
Bufera sul Programma alimentare mondiale. Dei circa 485 milioni di dollari stanziati nel 2009 e destinati ai profughi somali circa il 30% è finito nelle tasche dei partner locali dell’organizzazione I trasportatori poi si prendono il 10% e c’è una «tassa» da pagare alle milizie. Alla popolazione resta appena il 50% dei fondi.
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Giungono via mare scortati da incrociatori militari occidentali per sfuggire agli assalti dei pirati. Ma una volta in Somalia, i container dell’aiuto alimentare internazionale vengono ingoiati per metà da corruzione e ruberie di ogni tipo, finendo anche per ingrassare gli stessi signori della guerra responsabili dell’anarchia. Come dire che la comunità internazionale finanzia indirettamente lo stato di guerra.È uno scenario sconcertante quello messo nero su bianco in un rapporto già consegnato al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Il report esplosivo sarà discusso ufficialmente martedì, ma i contenuti sono stati già rivelati dalla stampa anglosassone, provocando un nuovo terremoto nel mondo della cooperazione, tanto le accuse paiono gravi e la fonte in sé attendibile. A curare il rapporto è stato infatti il gruppo di sorveglianza (“monitoring group”) sulla Somalia istituito dalle stesse Nazioni Unite allo scopo pure di fornire raccomandazioni ai vertici dell’organizzazione. La principale fra quelle contenute nel report è la richiesta al segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, di ordinare con urgenza un’inchiesta indipendente più approfondita sul sistema di aiuti. L’Onu accusa rami malati del suo stesso sistema, dato che sul banco degli accusati figura innanzitutto il Programma alimentare mondiale (Pam).L’agenzia ha stanziato l’anno scorso per la Somalia circa 485 milioni di dollari, destinati ufficialmente ai 2 milioni e mezzo di profughi e altre vittime dello stato di guerra permanente. Ma «circa il 30% di quest’aiuto è sottratto dai partner locali del Pam e dal personale dell’agenzia», si può leggere nel rapporto. Ad attingere dal colabrodo sono anche i trasportatori locali, che porterebbero via un altro 10% del totale. Alle milizie che spadroneggiano in gran parte del Paese, chiedendo «pedaggi» in denaro o in natura, sarebbe invece andata l’anno scorso una fetta compresa fra il 5% e il 10%. Conclusione: solo la metà dei fondi stanziati è servita davvero per nutrire le popolazioni allo stremo. Particolarmente opaca pare la gestione del trasporto e della distribuzione. Dei circa 200 milioni di dollari stanziati sotto questa voce, l’80% sarebbe stata gestita da 3 soli “contractor” locali sospettati di forti collusioni con i guerriglieri antigovernativi, comprese le milizie shabaab islamiche che hanno recentemente giurato fedeltà ad al-Qaeda. «I dirottamenti di risorse, organizzati grazie alla collusione fra trasportatori e partner locali del Pam, sono una forma abituale di frode, in particolare quando questi trasportatori e gli organismi partner sono di proprietà delle stesse persone», denuncia il report. Il vertici del Pam, principale agenzia mondiale per gli aiuti alimentari, replicano sostenendo che la denuncia contiene «almeno 5 errori fattuali», in particolare a proposito delle quote destinate ai “contractor”. Per la diplomatica americana Josette Sheeran alla guida dell’organismo, «il Pam è pronto ad offrire piena cooperazione a qualsiasi inchiesta indipendente». La direttrice sottolinea anche che viene sempre fatto il massimo per raggiungere le popolazioni, nonostante le «condizioni estremamente difficili» in cui si svolge l’aiuto. Lo scorso gennaio, in proposito, l’invio di container nel Sud del Paese era stato interrotto a causa delle intimidazioni subite dal personale Pam e dei rischi d’estorsione da parte dei gruppi armati in tutta l’area. Una sezione dello scottante report è pure dedicata alla situazione nella regione semiautonoma settentrionale del Puntland, dove signori della guerra e pirati si rifornirebbero regolarmente di visti diplomatici perlopiù destinati all’Europa, garantiti da funzionari locali corrotti.
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