giovedì 19 dicembre 2019
Il riconoscimento per la libertà di pensiero è stato assegnato dal Parlamento Ue al professore condannato all’ergastolo da Pechino per «estremismo» e tenuto in carcere in una località segreta
Jewher Ilham, la figlia di Ilham Tohti con l'immagine del padre alla consegna del premio Sakharov

Jewher Ilham, la figlia di Ilham Tohti con l'immagine del padre alla consegna del premio Sakharov - Ansa

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All’ergasolo da cinque anni. Economista e militante per i diritti del popolo uighuro e delle altre minoranze in Cina, Ilham Tohti ha appena superato in prigione la soglia dei 50 anni, dopo la condanna all’ergastolo nel 2014 che gli è stata inflitta dalle autorità cinesi, con l’accusa di «separatismo». Come accademico, si è in particolare occupato delle relazioni fra uighuri e etnia Han. Gli sono già stati conferiti, a testimoniare il ruolo che sta assumendo, il Premio Martin Ennals per i difensori dei diritti umani (2016), così come, lo scorso settembre, il Premio Vaclav Havel, da parte del Consiglio d’Europa.

Al centro dell’emiciclo blu in silenzio, una sedia nera vuota. Poi, da ogni parte, scrosciano gli applausi, tanto dagli eurodeputati in piedi, quanto dalle tribune superiori gremite pure di studenti. Al cinquantenne Ilham Tohti, condannato all’ergastolo dalle autorità cinesi e rinchiuso in cella nello Xinjiang del popolo uighuro martoriato, o forse a Pechino, o in un’altra località tenuta segreta, l’eco calorosa della cerimonia di ieri del Premio Sakharov per la Libertà di pensiero giungerà con un ritardo impossibile da prevedere.

Ma è chiaro a tutti i presenti, a cominciare dalla figlia neolaureata Jewher Ilham, giunta dagli Stati Uniti per ritirare il riconoscimento, che l’emiciclo si è trasformato ancora una volta in megafono: grazie al premiato assente, un apprezzato professore universitario d’economia divenuto il simbolo dei diritti umani uighuri calpestati, è ormai presente sotto gli occhi degli europei, se non del mondo, un dramma la cui ampiezza è stata a lungo negata o minorata.

Adesso, quale sarà il destino di Tohti? «Il Parlamento europeo chiede la sua liberazione immediata e incondizionata», ha lanciato il presidente David Sassoli, tratteggiando il percorso di un uomo ammirato, oltre che per le convinzioni di ferro, anche per la prospettiva non violenta abbracciata negli anni, contraddicendo l’etichetta ufficiale di “estremista” incollata da Pechino sul capo del cinquantenne: «Da oltre vent’anni, lavora instancabilmente per promuovere il dialogo e la comprensione reciproca tra gli uighuri e gli altri popoli cinesi. Ciononostante, è stato condannato all’ergastolo con l’accusa di separatismo».

In direzione di Pechino, il presidente dell’Europarlamento ha rivolto parole di fermezza: «Vorrei che la parola del Parlamento Europeo venisse presa sul serio da parte delle autorità cinesi e credo che sia saggio per loro ascoltare la voce del Parlamento Europeo». Con un’attenzione alla libertà delle persone, la Cina «sarà ancora più importante », ha aggiunto. Un’occasione colta da Sassoli anche per evocare i precedenti vincitori del Premio Sakharov anch’essi reclusi e isolati da sistemi repressivi, come il cineasta ucraino Oleg Sentsov, premiato l’anno scorso e liberato da Mosca lo scorso settembre, nel quadro di uno scambio di prigionieri. Il megafono democratico di Strasburgo può dunque talvolta contribuire a propiziare esiti insperati almeno su scala individuale, se non collettiva.

Magari attraverso il sostegno attivo delle diplomazie degli Stati europei e al ruolo dell’Alto rappresentante Ue (presente ieri a Strasburgo), ai quali Sassoli ha chiesto «di prestare molta attenzione ai diritti umani nelle relazione fra l’Ue» e le altre cancellerie planetarie. Visibilmente emozionata, Jewher Ihlam ha ringraziato tutti calorosamente, confermando di non sapere dove si trova il padre, di cui la famiglia non riceve notizie dal 2007. Il nome di Tohti era stato proposto dal gruppo liberale “Renew Europe”, ma la giornata di mercoledì ha offerto una preziosa vetrina anche ai finalisti del premio, scelti da altri gruppi all’interno dell’emiciclo. Fra questi, “The Restorers”, ovvero cinque adolescenti keniote che hanno creato un’App rivolta alle coetanee che intendono opporsi alla piaga ancora estremamente diffusa dell’infibulazione. In risalto anche la battaglia per preservare la foresta amazzonica, con la presenza a Strasburgo di un rappresentante del celebre capo indigeno Raoni, ma anche della militante Claudelice Silva dos Santos. Per la stessa causa, a titolo postumo, è stata premiata pure un’altra brasiliana, Marielle Franco.

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