venerdì 26 aprile 2024
Dopo oltre un anno di combattimenti tra il leader golpista al-Burhan e il suo vice Dagalo emergono inquietanti coinvolgimenti di truppe straniere che forniscono assistenza alle forze locali
Sfollati sudanesi attraversano il confine con il Ciad

Sfollati sudanesi attraversano il confine con il Ciad - Reuters

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Ha molti volti, tutti tragici, la guerra civile sudanese, in corso purtroppo dal 15 aprile 2023. Due fazioni militari vi si affrontano, dirette da altrettanti generali, protagonisti del colpo di stato dell’ottobre 2021. Da una parte, le Forze armate sudanesi,capeggiate da Abdel Fattah al-Burhan, leader de facto del Paese dopo il golpe; dall’altra, le potenti forze paramilitari del generale Mohammed Hamdan Dagalo, alias Hemetti(già vice di Burhan), meglio note come Forze di supporto rapido, invenzione tragica di un altro dittatore golpista (Omar el-Bashir) per reprimere i ribelli sudsudanesi e commettere stragi nel Darfur. Oggi siamo di fronte a un conflitto interno dai molti risvolti internazionali, con implicazioni russo-emiratine, teatro altempo stesso di traffici d'armi, unità clandestine e mercenari, al soldo delle opposte fazioni.

Un’altra guerra sporca, che è in piccola parte un'appendice di quella ucraina, meno appariscente, ma altrettanto sanguinosa. Sì, perché Mosca e Kiev si combattono anche qui. Un centinaio di incursori dell'unità Timur dell'intelligence militare ucraina opera infatti a 6mila chilometri dalle basi di partenza e lo fa dall'agosto dell'anno scorso, per assistere le forze armate regolari contro i paramilitari e i loro alleati emiratini e dell'Africa Corps, l'ex Wagner Group russo. Quando al-Burhan si ritrovò assediato nella capitale Khartum chiese supporto anche al presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che colse l'opportunità al volo. Commentando l'incontro in Irlanda con l’omologo sudanese, Zelensky disse: «Abbiamo discusso delle sfide di sicurezza comuni, in particolare delle attività dei gruppi armati illegali finanziati dalla Russia». Per il quotidiano Kyiv Post e molti media occidentali, le forze speciali ucraine si occupano in Sudan di operazioni coperte.

Uccidono e fanno prigionieri, come mostrerebbero alcuni video analizzati dai media. Nulla di nuovo in guerra. Addestrano i lealisti sudanesi, partecipando agli scontri. Studiano l’avversario, portando in Sudan le tattiche di guerra anfibia affinate in Ucraina, quasi a trasformare il Nilo nel Dnepr sudanese. Hanno gommoni veloci e armi avanzate. Sono pochi e non ribalteranno le sorti da nessuna parte, ma ricognizioni speciali permettono loro di sorvegliare i movimenti russi, tendere agguati con i tiratori scelti e ordire sabotaggi con trappole esplosive, piazzate lungo le rare strade percorribili dai convogli. Le radio tattiche, criptate, sono sempre in fermento e, come in Ucraina, i cieli pullulano di droni: in almeno due casi ci sono stati bombardamenti inusuali nel teatro africano, frutto delle tattiche innovative con cui gli ucraini si sono distinti in patria, soprattutto nell’uso dei droni Fpv, armati di granate, che immergono in uno scenario molto realistico i piloti. E la guerra dei droni in Sudan presenta non solo ma anche alleanze stravolte. Se, in Europa, i velivoli iraniani (sempre più richiesti sul mercato internazionale grazie a un rapporto vantaggioso fra prezzo e qualità) equipaggiano l'Armata Rossa, in Sudan sono in mano ai regolari sudanesi, nemici indiretti dei russi. Sembra abbiano giocato un ruolo nell’avanzata recente dei lealisti, specie nella battaglia di febbraio-marzo di Ombdurman.

Disse tempo fa il capo dell'intelligence militare di Kiev, Kyrylo Budanov: «Combatteremo i nostri nemici ovunque si trovino»; e il Sudan sembra fare proprio al caso suo perché ospiterebbe circa 3mila mercenari al soldo del Cremlino. Come nel Donbass, anche in Sudan, gli uomini di Budanov, tentano di indebolire gli interessi nemici e portare avanti i piani di espansione africana della presidenza Zelensky. Le miniere d'oro del Sudan, controllate in massima parte da Hemetti, sono sfruttate non solo dagli emiratini, ma anche dai russi. Ne alimentano la guerra in Ucraina e sono un obiettivo legittimo, insieme agli interessi nemici nell'area.

Nei disegni del Cremlino si vagheggerebbe perfino un asse fra Libia, Ciad e Sudan, con ambizioni di basi navali a Port Sudan, Tobruk e Bengasi. Al Khadim è già oggi una piattaforma russa, per lo smistamento di armi e mercenari diretti in Sudan (e in Centrafrica). Guerra e massacri sono sempre sinonimi, molti documentati da Human Rights Watch, accompagnati da drammi generali anche in Sudan.Oggi, tutto sa di tragedia da quelle parti: quattro ospedali sudanesi su cinque sono al collasso e il 43% della popolazione soffre per carenze croniche di cibo. Alla conferenza dei donatori di Parigi, a metà aprile, è stato raccolto molto meno dei 2,7 miliardi di dollari necessari a soccorrere i civili.

Ma quel concilio ha almeno rilanciato le speranze di negoziati fra le parti in guerra, se mai al-Buhran smettesse di tendere l’orecchio ai falchi che lo circondano, primo fra tutti Ali Karti, il sabotatore di tutti i tentativi di conciliazione, non a caso sanzionato da Washington. Fra mille difficoltà, gli Stati Uniti, appoggiati dai sauditi, starebbero mediando in vista di una pace oggi lontana, coinvolgendo finalmente rappresentanti emiratini, egiziani, del blocco Igad est-africano e dell'Unione Africana. Il recente passato dice purtroppo che le intese precedenti di cessate il fuoco sono subito deragliate.

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