giovedì 2 aprile 2020
La mano tesa del Sermig: mille senzatetto in quarantena all'Arsenale di San Paolo
Una favela di San Paolo

Una favela di San Paolo - Reuters

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Ogni giorno, nei cimiteri d San Paolo, vengono seppellite tra le trenta e le quaranta possibili vittime di coronavirus. Individui morti con sintomi di Covid–19 che, però, con l’Istituto Adolfo Luz ingolfato di richieste, non hanno fatto in tempo a fare i test o a ricevere i risultati. I morti dell’epidemia in Brasile, dunque, potrebbero essere molti di più dei 201 registrati finora, la gran parte – 121 – a San Paolo e dintorni. Là si concentra anche quasi il 40 per cento dei quasi 6mila casi nazionali, il record in America Latina. Il governatore dello Stato–epicentro brasiliano della pandemia, João Doria, dal 23 marzo, dunque, ha deciso di chiudere le scuole, di concellare gli eventi pubblici e ridurre i trasporti. Non una vera e propria quarantena ma, di certo, le misure più forti prese per affrontare l’emergenza, insieme a quelle dello Stato di Rio.

«San Paolo si è fermata. Non pensavo potesse accadere. La gente ha molta paura e si è chiusa in casa. Per questo, anche noi abbiamo deciso di offrire un rifugio h 24 a chi un tetto non ce l’ha», racconta don Simone Berardi, uno dei missionari del Sermig di Torino impegnati all’Arsenale della speranza di San Paolo. La struttura accoglie mille persone senza dimora. «Di solito, al mattino presto escono e stanno fuori tutto il giorno. Svolgono lavoretti informali per raccimolare qualcosa. Ora, però, non c’è nulla e abbiamo deciso di offrire la possibilità di stare dentro, come tutti gli altri cittadini. L’hanno accolta con gratitudine», prosegue il sacerdote. Da dieci giorni e fino al 9 aprile, lo staff dell’arsenale ha dato fondo a tutte le risorse per garantire il vitto extra agli ospiti e una serie di attività per trascorrere la giornata. «È un grande sforzo, per questo abbiamo chiesto aiuto agli amici italiani che possono darci una mano attraverso il Sermig (www.sermig.org)».

A preoccupare, è il braccio di ferro tra amministrazioni locali e governo centrale che rende schizofreniche le politiche brasiliane. Doria, ex alleato del presidente Jair Bolsonaro, s’è trasformato nel capofila della rivolta contro il negozionismo di Brasilia. Fino a due giorni fa, Bolsonaro ha continuato a definire il virus «un complotto» per distruggerlo. Dichiarazioni che hanno irritato anche i suoi, spaccando nell’esecutivo. Perfino Facebook, Instagram e Twitter ne hanno rimosso i post per «tutelare la salute pubblica». Poi, ieri, il dietrofront: il presidente ha definito il coronavirus «tra le sfide più grandi» e lanciato un piano di aiuti. Il contagio, nel frattempo, si estende: ieri è stato colpito il primo nativo amazzonico, una 19enne del popolo Kokama. La Rete ecclesiale panamazzonica (Repam) della Chiesa ha chiesto agli Stati di proteggere gli indigeni.

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