giovedì 18 aprile 2024
Non ci saranno manifestazioni per ricordare le vittime delle proteste dell'aprile del 2018. Per legge si celebra il Mese della Pace con iniziative e attività festose
Manifestazioni del 2018 contro il governo di Ortega

Manifestazioni del 2018 contro il governo di Ortega - Ansa

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18 aprile 2018. Oggi, sei anni fa, in Nicaragua iniziavano le proteste pacifiche che la dittatura di Ortega e Murillo, la coppia presidenziale in carica dal 2007, scelse di reprimere con il sangue. Più di 350 civili furono uccisi in meno di quattro mesi. Da allora, aprile è il mese in cui il popolo nicaraguense si unisce per chiedere giustizia e far sì che il ricordo delle vittime non scompaia. Ma quello di quest'anno è un aprile diverso dal solito: oggi la massima espressione della resistenza è il silenzio.

Nel Paese non ci saranno manifestazioni, vietate dal regime dal settembre del 2018. Si celebra invece il Mese della Pace con iniziative e attività festose. A imporlo è una legge approvata d’urgenza dieci giorni fa dall’Assemblea nazionale con 89 voti a favore. Prevede che ogni anno il mese di aprile sia celebrato «con la gioia contagiosa delle famiglie nicaraguensi». Si tratta dell'ultima mossa del governo per nascondere i crimini commessi sei anni fa, che arriva dopo tentativi simili fatti in passato. Nel gennaio del 2021, il 19 aprile era stata dichiarata Giornata dello Sportivo nicaraguense, poi sostituta l’anno scorso con la Giornata della Pace.

Molte manifestazioni, conferenze e celebrazioni religiose sono invece state organizzate all’estero. Dalla Costa Rica a Bilbao, da Miami a Madrid risuona il grido di lotta dell’opposizione messa a tacere in patria. Tra i molti attivisti in marcia ci sono anche centinaia di migliaia di nicaraguensi in esilio forzato o autoimposto.

Quella iniziata nell’aprile del 2018 a Léon, a nord-ovest di Managua, doveva essere una protesta di pensionati contro la decisione del governo di riformare l'istituto di sicurezza sociale. Ma parteciparono tutti: in piazza c'erano donne, giovanissimi e studenti universitari. Era il risultato di anni di malcontento sociale per l'eccessiva centralizzazione del potere, la diffusa corruzione del governo e la costante diminuzione degli spazi democratici. Sotto gli occhi della polizia, i manifestanti vennero aggrediti da simpatizzanti del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (FSLN) della dittatura di Ortega. Le proteste di diffusero e nei tre giorni successivi la repressione fu brutale. Tra i molti morti, c'era anche giovani come «l’eroe della nazione che a soli 15 anni ha iniziato una rivoluzione», come lo ha immortalato il cantautore Jandir Rodríguez. Era Álvaro Manuel Canrado Dávila, ucciso da un colpo di pistola alla gola da un franco tiratore. L’ultima vittima fatta dal regime è Carlos Alberto García Suárez, ritrovato morto e bruciato martedì 16 aprile, l’oppositore del regime di Daniel Ortega era stato incarcerato per aver partecipato alle manifestazioni del 2018.

Oggi la sopravvivenza è la principale preoccupazione della popolazione: aumenta la paura per le ripercussioni della dittatura che diventano sempre più pervasive e vanno a colpire anche i familiari di chi si oppone. L’ong indipendente nicaraguense Monitoreo Azul y Blanco ha registrato 11.350 violazioni dei diritti umani in questi sei anni. Solo nel febbraio del 2022, 222 prigionieri politici sono stati banditi dal regime, tra i quali tutti i candidati dell’opposizione alla presidenza. È il modus operandi proprio di colui che nel 1979 aveva contribuito a far cadere la dittatura della famiglia Somoza. Tornato al potere nel 2007, dopo la guida tra 1985 e il 1990, l’allora guerrigliero sandinista somiglia sempre di più al nemico di un tempo.

I prigionieri politici attualmente detenuti nelle carceri nicaraguense sono più di 120 e proprio pochi giorni fa alcuni familiari hanno rivelato al quotidiano La Prensa che le condizioni dei loro cari ingiustamente detenuti a La Modelo, carcere nella periferia di Managua, sono nuovamente peggiorate. Manca un’adeguata assistenza medica e sono riprese le torture psicologiche. Tenuti svegli di notte con colpi alle sbarre che impediscono loro di dormire, insultati («golpisti, da qui non uscirete»), e costretti a dormire per terra.

Il dissenso è stato messo al bando. Media indipendenti, e circa 3.500 organizzazioni non governative sono state chiuse. La Chiesa, ultima voce indipendente, continua a subire attacchi per aver offerto un rifugio ai manifestanti del 2018. Da allora, secondo l’ultimo studio della ricercatrice Martha Molina si contano 740 attacchi (aggressioni, sequestri, profanazioni, e incarcerazioni arbitrarie) e 203 esponenti del clero sono stati esiliati, espulsi o costretti a partire, e l’80 per cento di questi nel corso dell’anno scorso.

La crisi che affonda Managua è politica, ma anche economica e culturale. Cresce la disoccupazione, soprattutto in campo manufatturiero. Almeno sette aziende straniere di questo settore hanno lasciato il Nicaragua tra il 2022 e il 2024. Secondo gli esperti le chiusure sono riconducibili all’instabilità e l’insicurezza politica. Ma l’impoverimento è anche culturale. Dal 2021 sono state chiuse e confiscate 27 università. Centinaia di insegnanti sono stati licenziati e gli studenti stessi denunciano la scarsa preparazione del nuovo corpo docente. Non manca la preoccupazione per una tendenza l’indottrinamento politico dentro le aule e per i tentativi di limitare la libertà di pensiero. Nel grande carcere in cui si è trasformato il Paese, qualsiasi forma di resistenza è utile, perfino il silenzio.

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