giovedì 22 luglio 2021
In Val di Sole casi di "reazione" allo spopolamento delle montagne. Dall'azienda costruita sulle erbe alla riscoperta turistica degli asini, dal fare cultura sui monti alle "mamme sitter"
COMMENTA E CONDIVIDI

Lo spopolamento delle montagne non è un sentiero obbligato. Con l’ostinazione che solo l’abitudine alle alte quote sa dare (ma anche con la fantasia), capita invece di imbattersi in storie di speciale imprenditoria che smontano la tesi di territori alpini visti solo come ambiti che mettono alla prova le nostre capacità. E colpisce ancor di più quando sono in prevalenza storie di donne. È quel che accade nella zona del Parco dello Stelvio, nelle Valli di Sole, di Rabbi e di Pejo. Proprio in quest’ultima, a esempio, ai piedi del monte Vioz ci si imbatte in Olga Casanova e nel suo spicchio di terra, oasi di coltivazioni di stelle alpine, arnica, timo, calendula, menta e tante altre erbe. «Dio ci ha donato tutto quel che serve per curarci», dice Olga che 10 anni fa, dopo aver lavorato per 17 anni come estetista a contatto con sostanze chimiche, insieme al marito agronomo (e rinnovando gli insegnamenti del nonno erborista) ha creato un’azienda bio-certificata che oggi è - grazie anche all’e-commerce - una piccola eccellenza nel campo delle erbe curative e nel loro uso nel campo della cosmesi naturale. Da quest’anno, oltre alla vendita classica, ha affiancato un’iniziativa didattica: un percorso a piedi nudi che punta a far ritrovare il benessere tramite il contatto diretto con le piante e l’automassaggio della pianta dei piedi. «Il Trentino valorizza l'imprenditoria femminile - ci racconta -. Il mio pensiero era creare qualcosa che valorizzasse le sinergie fra turismo e agricoltura. Ci sono riuscita».
Buone pratiche da tenere come esempi. «La vocazione turistica delle nostre valli – spiega Fabio Sacco, direttore della locale Apt turistica – può diventare un veicolo di diffusione di queste pratiche. La gente viene qui, anche dalle città, e scopre che soluzioni alternative si possono sempre creare. Al tempo stesso, queste esperienze create da donne geniali e caparbie possono convogliare il turismo montano verso una maggior sostenibilità ambientale». Se le erbe sono un prodotto classico per queste zone, del tutto originale è l’attività con gli asini impiantata da Alessia ed Elisabetta Tomazzoli, 45 e 40 anni, geometra la prima, sociologa la seconda. “Ritmo d’Asino” si chiama l’impresa a Caldes che organizza trekking e laboratori per adulti e bambini con questi animali. Al centro ci sono 4 esemplari sardi, finiti all’asta a marzo 2020 dopo essere stati posti sotto sequestro in Emilia-Romagna perché subivano maltrattamenti. «Quando li abbiamo portati qui non si facevano neppure avvicinare, avevano paura», raccontano oggi. Le due sorelle si sono rivolte al ranch Margherita, a Cavriglia (Arezzo), un centro di rivalutazione di asini e muli: è qui che hanno preso il patentino di tecnico di primo livello nell'attività con gli asini, qualifica riconosciuta dal Coni. E la loro attività ha potuto avere inizio, con trekking per i piccini a… dorso d’asino. E già ci sono altri progetti: «Per ora non siamo abilitate fare interventi assistiti – spiegano Alessia ed Elisabetta -, anche se già adesso alle nostre attività partecipano persone diversamente abili. Ma il nostro sogno è di lavorare con le associazioni e, quando la pandemia lo permetterà, con le case di riposo».

Tutta da raccontare è poi la storia, proveniente dal paese di Commezzadura, della doula, termine che deriva dal greco e indica la persona che si prende cura delle neo-mamme e del loro bimbo. È la storia di Eva Nieminski, 36 anni, che tre anni fa, piuttosto che cercare lavoro lontano dalla valle, ha intrapreso questa strada professionale. «Per me è il lavoro ideale – racconta -. Mi permette infatti di seguire il mio desiderio di aiutare gli altri rimanendo vicino alla mia famiglia. Questo approccio insegna alle persone che chiedere aiuto non è una vergogna, aprirsi all’altro anzi è un atto di forza». Nel concreto, Eva organizza incontri con le coppie in gravidanza e poi nei primi mesi post-parto, a base di massaggi neo-natali, ginnastica in acqua, corsi di yoga e altre attività. E ancora – incredibile a dirsi – in montagna si può fare anche cultura, ricorrendo alle caratteristiche specifiche del territorio. È il caso del MMape, il museo dell’ape di Croviana, struttura realizzata dal Comune e dalla Fondazione Mach grazie a fondi Ue, che è stata "presa in mano" e valorizzata da Anna Benedetti, 33enne di Dimaro. I promotori hanno anche creato un’associazione di promozione sociale per coinvolgere altri giovani della valle. «Nonostante le attuali difficoltà dovute al Covid – dice Anna –, credo che qui in montagna ci siano margini per fare impresa con la cultura». Con percorsi certo più impegnativi, ma anche con la convinzione - come sempre in montagna - che "arrivare in cima" si può.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI