mercoledì 13 marzo 2024
L'annuncio dal senatore pd Alfredo Bazoli, firmatario del disegno di legge sul fine vita che nella scorsa legislatura fu approvato dalla Camera ma tra molte divisioni e con aspetti ancora da chiarire
L'aula di Palazzo Madama

L'aula di Palazzo Madama - Ansa

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«Martedì 26 marzo le Commissioni Giustizia e Affari sociali del Senato inizieranno l’esame della legge sul suicidio assistito a mia prima firma». Ne dà notizia Alfredo Bazoli, capogruppo Pd in Commissione Giustizia a Palazzo Madama, già firmatario del disegno di legge chiamato a ricalcare la sentenza 242 del 2019 della Corte costituzionale che depenalizzava a ben precise condizioni alcuni delimitati casi estremi di aiuto al suicidio.

La legge, non priva di passaggi ancora da chiarire e precisare, era stata approvata il 10 marzo 2022, durante la precedente legislatura, con 253 voti a favore (tutta la sinistra, M5s e alcuni deputati del centrodestra) e 117 no. In attesa di essere ulteriormente discusso e integrato per raccogliere un più ampio consenso, il provvedimento era passato al Senato, ma la caduta del governo Draghi e la fine anticipata della legislatura ne aveva interrotto l’iter. Ora quel testo riprende la strada in Parlamento (ma sarà necessario l’esame di entrambe le Camere), mentre in alcune Regioni – è il caso dell’Emilia Romagna – è in discussione la proposta di legge (che va oltre i paletti piantati dalla Corte) presentata in fotocopia in vari Consigli regionali dall’Associazione radicale Luca Coscioni dopo aver raccolto le firme per l’iniziativa popolare. Una spinta “federalista”, giuridicamente insostenibile (la materia è riserva di legge dello Stato) che ha messo in evidenza la necessità di affrontare la questione a livello legislativo nazionale, come indicato dalla stessa Consulta.

«Finalmente – aggiunge Bazoli – si tornerà a discutere in Parlamento di una normativa necessaria e non più procrastinabile, che garantisca uniformità di trattamento e di condizioni in coerenza con le indicazioni della Corte costituzionale. Mi auguro un confronto serio e costruttivo che possa condurre a una sintesi alta e condivisa, su una materia che necessita di un approccio inclusivo, sensibile e dialogante».

Determinante sarà il rispetto letterale dei criteri scolpiti dalla Corte a tutela delle persone fragili in una sentenza-chiave che non ha inteso creare – come la stessa Corte ha precisato, a scanso di pericolosi equivoci – un inesistente “diritto di morire”. I criteri fissati dai giudici costituzionali delimitano infatti la non punibilità dell’aiuto al suicidio al caso di una persona «affetta da una patologia irreversibile e fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti capace di prendere decisioni libere e consapevoli». C’è anche un quinto criterio definito dalla Corte costituzionale con grande chiarezza nella stessa – citatissima – sentenza, eppure quasi sempre omesso dai fautori di una legge con l’asse spostato sull’autodeterminazione assoluta: «Il coinvolgimento in un percorso di cure palliative», che «deve costituire un pre-requisito della scelta, in seguito, di qualsiasi percorso alternativo da parte del paziente».

La questione è apertissima. È evidente che, se a una legge si arriverà, dovrà essere una soluzione largamente condivisa dal Parlamento, senza prove di forza, all’interno di un perimetro assai ben definito dalla Consulta. C’è di mezzo la vita dei cittadini, un bene indisponibile. La politica saprà mostrarsi all’altezza? Occorrerà vigilare.

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