mercoledì 1 dicembre 2010
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Dopo quaranticinque giorni di coma, i medici le hanno chiesto se li autorizzava alla tracheotomia per continuare a farla respirare. Lei si è fatta portare la sua lavagna con le lettere dell’alfabeto che sfiorava con gli occhi, da quando la malattia le aveva tolto la parola e immobilizzato il corpo, e per due volte ha indicato il «sì». «Voglio vivere», ha chiarito. Questa è la storia di Daniela Martini, 53 anni, che dal 2007 ha scoperto di essere affetta dalla Sla e che oggi, grazie a un respiratore e al sondino gastrico, può continuare la sua impresa quotidiana contro il male. Ma questa è anche la storia di solidarietà di un paese di tremila abitanti, Pergine Valdarno, in provincia di Arezzo, che si è stretto intorno a «la Daniela» – come la chiamano affettuosamente –, che le riempie la casa di fiori e di visite e che a settembre l’ha insignita, insieme col marito Salvo, del premio «Pergine abbraccia».Perché lei non ha voluto nascondersi e, collegata ai suoi macchinari, si fa portare in giro per il centro, tenace e attaccata alla vita di cui si sente ambasciatrice. «Ho la capa tosta e sono molto determinata. Desidero fare parte di questo paese finché mi sarà concesso», ha scritto al suo sindaco che l’aveva invitata all’inaugurazione della biblioteca. «La bontà d’animo della nostra comunità che l’ha quasi adottata – aggiunge il marito – è un supporto enorme. Tutti conoscono Daniela: sanno bene che comprende ciò che diciamo. Quindi la salutano, le parlano, la abbracciano per strada». E Pergine aveva scelto anche di aiutare la famiglia Martini dal punto di vista economico. «Sa – confida Salvo –, ogni anno occorrono quasi 60mila euro per le cure e l’assistenza anche se la Regione Toscana e l’azienda sanitaria di Arezzo contribuiscono in modo determinante». Per Daniela sono stati organizzati tre giorni di festa e un convegno sulla Sla. Alla fine hanno raccolto più di 20mila euro. Ma lei ha ribattuto: «Non li voglio». E quei soldi serviranno per il sostegno psicologico ai malati e per acquistare tre apparecchi che consentono di tenere sotto controllo battito cardiaco e respiro da regalare ai pazienti.Fino a poche settimane fa, quando ancora poteva comunicare con lo sguardo, la donna teneva i contatti via email con decine di persone in Italia colpite da malattie del motoneurone. «Qualcuno le confidava di voler morire – racconta Salvo –. E subito lei obiettava: "La vita è bella e va vissuta sempre. Non vedi come è stupendo svegliarsi al mattino col sole che ti illumina il volto"». Sarà per questo che il suo letto è accanto a un finestrone del salotto.Dai cavalletti delle flebo con cui si nutre scendono due corone del Rosario. E sul respiratore c’è un’immagine della Madonna. «Nonostante conoscessi il decorso della malattia – ha annotato sul computer – non ho mai rinunciato a combattere. E se sono qui, lo devo a mio marito e ai miei due figli». Salvo rivela: «Ci immedesimiamo ogni giorno in lei per comprendere le sue esigenze. Al vertice della nostra famiglia c’è Daniela. È il nostro punto di riferimento». In paese ha fatto allestire anche una mostra: in esposizione le macchine che la accompagnano giorno e notte. E poi un filmato sull’assistenza in casa. «Una volta – racconta il marito – dopo che il medico le aveva sostituito il sondino, Daniela si è fatta dare la lavagna e ha scritto: "Dottore, mi ha fatto talmente male che, se potessi, le darei due schiaffi". Segno della sua straordinaria forza di volontà e del suo amore per la vita».
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