martedì 8 maggio 2018
Politica, economia, lavoro: sono tante le differenze tra l'Italia e la penisola iberica, dove la disoccupazione è più alta e preoccupa l'aumento del debito pubblico
L'interno della Borsa di Madrid (Ansa)

L'interno della Borsa di Madrid (Ansa)

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Quando il Fondo monetario internazionale ha calcolato, qualche settimana fa, che il prodotto interno pro capite della Spagna aveva superato quello dell’Italia, molti osservatori hanno preso spunto da questi dati per istituire confronti molto pessimistici per noi in relazione a una invidiabile situazione del Paese iberico. Paradossalmente, invece, in Spagna, questi dati non hanno suscitato alcun entusiasmo: è stato El Pais, il più diffuso quotidiano spagnolo, a sottolineare che i dati del Fmi non sono molto attendibili, anche perché contrastano con quelli, più approfonditi dal punto di vista dell’analisi, dei Eurostat, l’agenzia statistica europea, che invece fornisce dati che vedono il Pil italiano pro capite superare quello spagnolo di circa il 5 per cento. Senza addentrarsi in una complessa disamina dei criteri statistici differenti, si può però trarre spunto da questa discussione per cercare di capire quali siano davvero i punti di forza e di debolezza della situazione spagnola.

Il primo dato che è stato messo in evidenza è la solidità maggiore del sistema politico ed istituzionale spagnolo. Anche in questo caso, però l’opinione dei commentatori spagnoli è tutt’altro che ottimistica. Stando ai fatti si deve osservare che il governo popolare di Mariano Rajoy è in carica da tre legislature, ma dopo la prima, in cui godeva della maggioranza autonoma in parlamento, è stato in carica per gli affari correnti nella seconda, conclusasi dopo sei mesi e ora ha un governo di minoranza, che ha ottenuto la non sfiducia una volta sola, ma che ora fatica a metterne insieme una per approvare il bilancio. Per capire quanto sia precaria la situazione basta pensare che l’emendamento globale al bilancio è stato bocciato per un solo voto fornito, a suo dire per errore, da un deputato di un partito locale delle Canarie. Se questo 'incidente' non si verificherà quando tra due settimane andranno in votazione i singoli capitoli, il bilancio sarà bocciato e il governo potrà agire solo in condizioni di esercizio provvisorio. Il sistema politico spagnolo, che dopo la crisi economica ha visto il sorgere di nuove formazioni alternative al tradizionale bipolarismo tra popolari e socialisti, si regge ora su quattro formazioni nazionali, tra le quali quella neocentrista di Ciudadanos sembra in grado di contendere il primato ai popolari, mentre quella 'antagonista' di Podemos si batte per l’egemonia nella sinistra con il Psoe. Insomma quadro politico e governabilità appaiono piuttosto instabili anche lì.

La situazione economica segnala tassi di crescita assai più robusti di quelli italiani, ma l’effetto sociale della crescita produttiva è ancora lontano dall’aver sanato le ferite della crisi: la disoccupazione si aggira sul 18 per cento e decresce assai lentamente, e il livello retributivo resta stagnante. Invece il comparto finanziario, che aveva subito colpi molto pesanti dalla crisi del settore edilizio, è in via di risanamento anche perché il governo spagnolo, a differenza di quelli italiani, ha chiesto l’intervento europeo ottenendo un prestito a tassi bassissimi che ha permesso di affrontare le varie crisi bancarie. L’altro aspetto positivo è stato l’utilizzo massiccio dei fondi europei per la modernizzazione della rete stradale e ferroviaria, che ha modernizzato il sistema logistico e favorito il turismo. Resta invece una distanza consistente dall’Italia in termini di competitività internazionale soprattutto nel settore manifatturiero: la bilancia commerciale italiana in questo comparto nel 1917 era attiva per 90 miliardi, quella spagnola passiva per 16. Il vantaggio fondamentale di cui gode l’economia spagnola è il livello assai basso del debito pubblico ereditato al momento dello scatenarsi della crisi: questo ha permesso alla Spagna di finanziare in deficit la crescita, mentre questo era precluso all’Italia a causa della dimensione colossale del debito. Questo vantaggio però non può durare indefinitamente: il debito spagnolo negli anno successivi alla crisi è cresciuto più di quello italiano e ora il servizio del debito comincia a pesare anche sull’economia spagnola, ed è destinato a crescere ancora per effetto delle misure di aumento delle retribuzioni pubbliche e delle pensioni che sono indicate nel progetto di bilancio licenziato dal governo di Madrid.

Anche in Spagna si avvertono forti differenze territoriali nel livello di vita e nei tassi di occupazione: la condizione sociale di Madrid o della Catalogna è nettamente superiore a quella dell’Estremadura e dell’Andalusia, in termini simili alle differenze che noi registriamo tra Lombardia e Veneto da una parte e Calabria e Sardegna dall’altra. Per la verità però se in Italia sono quasi due terzi della popolazione i cittadini che vivono in regioni in cui il reddito è superiore alla media europea, in Spagna questo vale solo per un terzo. Un tema che non può essere trascurato nella descrizione del panorama spagnolo è quello della coesione sociale e nazionale, che presenta numerosi punti di crisi. La questione più nota è quella che riguarda il secessionismo catalano, che rappresenta l’interrogativo più acuto sul futuro delle istituzioni spagnole. Una parte rilevante della società catalana si sente oppressa dallo stato nazionale spagnolo e aspira all’indipendenza. Gli indipendentisti non dispongono delle ragioni giuridiche o della forza politica sufficienti per realizzare i loro obiettivi, ma lo Stato nazionale non riesce a trovare un terreno di confronto che consenta di riportare la tensione a livelli sopportabili. Ora l’autonomia regionale della Catalogna è sospesa, i poteri sono commissariati in attesa che si formi un governo regionale che i secessionisti insistono per far guidare da personalità che sono in carcere o all’estero perseguite da mandato di cattura.

Questa situazione, che si protrae da quasi sei mesi, esacerba gli animi e rende impossibile il dialogo. Sembra una situazione senza via d’uscita, che anche gli osservatori internazionali considerano una mina che può deteriorare in modo irreversibile la solidità istituzionale della Spagna. Se questo è il più grave dei problemi di coesione, non è però l’unico. Anche in Spagna la questione migratoria accende tensioni, anche se i flussi sono assai più modesti di quelli che hanno investito la Grecia e l’Italia. Però la crisi di tanti paesi dell’America latina spinge all’emigrazione verso la Spagna quote crescenti, che fino all’anno scorso erano contenute ma che ora hanno ripreso a un ritmo piuttosto sostenuto. Si tratta di mano d’opera a basso prezzo, che compete (peraltro senza limitazioni linguistiche) con i settori più deboli della società spagnola.

Infine, ma non par ultima, va considerata la coesione culturale, che vede confrontarsi una visione laicistica esasperata con la mentalità tradizionale legata sostanzialmente alla visione cattolica, che è stata la cifra fondamentale dell’identità nazionale spagnola. Il Psoe ha adottato una linea laicista che si è vista durante i governi di José Luis Rodriguez Zapatero, e su questo asse trova ancora l’unità tra le sue varie componenti. L’ultima richiesta, per esempio, è quella di istituire un servizio di eutanasia all’interno delle unità sanitarie locali. Su questi temi le posizioni si vanno divaricando in modo radicale, chi nega l’eutanasia come servizio sociale viene definito clerico-fascista e anche questa tensione, che rimanda a quella che ha caratterizzato l’inizio del secolo scorso fino alla catastrofe della guerra civile mina la coesione sociale.

Il ceto medio moderato che ha sempre esercitato una funzione equilibratrice, impoverito e soprattutto impaurito dalla crisi, sembra incapace di frenare le tendenze estremistiche, e in questo la situazione spagnola somiglia per certi versi a quella italiana. Naturalmente accanto alle difficoltà che sono state messe in luce in questa analisi esistono anche vigorose tendenze alla crescita civile e economica, il che rende meno fosco l’orizzonte di un Paese che ha fatto passi giganteschi per uscire dall’arretratezza e dalla dittatura ed entrare a pieno titolo nell’ambito delle democrazie sviluppate. Ma da questo a considerarlo un modello da imitare acriticamente ce ne corre.

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