«La maleducazione genera egoismo». Resistere col realismo della speranza
sabato 14 gennaio 2017

Caro direttore,
vorrei tornare sul suo dialogo con un lettore di Prato del 5 gennaio scorso (tinyurl.com/gqn3874), a proposito dell’aiuto in denaro inviato dal cuore del Congo ai terremotati del Centro Italia. Ammiro da tempo le sue perfette sintesi, lei riesce a toccare il cuore anche dei non credenti quando invita – e lo fa spesso – a «uno sguardo giusto sulla realtà e sulle persone» e opportunamente aggiunge che questo significa «esercitare uno sguardo fraterno». Ecco, direttore, questa “fraternità” io la avverto sempre di meno, viaggiando o passeggiando o facendo la spesa. A Lugano come a Milano, a Venezia come a Bari, si avverte sempre più un inarrestabile e preoccupante senso di mancanza di educazione civica, di buone maniere, del buon vivere quotidiano che ci insegnavano, negli anni 50 del secolo in cui lei e io siamo nati, già dall’asilo. E tutto ciò segna, anch’esso, il degrado delle nostre città, con l’aumento esponenziale di nostri “fratelli” maleducati, aggressivi, prepotenti pieni di livore verso il giusto e il bello. Ecco, si parla tanto di immigrazione clandestina e di accoglienza dei profughi, “Avvenire” è da sempre in prima linea per svelenire populismi e razzismi, ma forse dovremmo iniziare a comprendere che c’è una società ove il trionfo della maleducazione può davvero generare chiusura in se stessi e circuiti di intolleranza e di egoismo. Non mi tacci di pessimismo, caro direttore. Io amo Rousseau. Buon anno e buon lavoro a lei e alla sua magnifica redazione.

Maurizio Lullo, Lugano



La ringrazio, gentile e caro dottor Lullo, per la stima che manifesta per il lavoro dei miei colleghi e mio (anche se per quanto mi riguarda la “perfezione” continua a essere soltanto un’aspirazione...). E la ringrazio pure per essere tornato su un tema, quello della buona educazione, della semplice buona creanza e della basilare cortesia quotidiana che sento molto e che in maniera più specifica e sintetica (da ultimo tinyurl.com/gut8mew) o più distesa e “familiare” (tinyurl.com/zs2kd7v) affronto spesso. Lei e io la pensiamo allo stesso modo su un fatto cruciale: qui davvero pure la forma è sostanza, e la sostanza è la necessità di un tenace impegno educativo. Sarà bene che torniamo a esserne tutti consapevoli, perché è su questo crinale che passa la via che porta a esercitare uno sguardo fraterno sugli altri e sul mondo, premessa necessaria (e quasi sempre sufficiente) per vivere e far vivere la fraternità e far crescere il rispetto e il “prendersi cura” invece della volgarità, dell’arroganza, dell’indifferenza e della sopraffazione a parole e gesti. Credo, poi, che lei abbia buoni motivi per proclamare la sua amarezza davanti a una maleducazione che si nutre e si dilata di cattivi sentimenti e di autentica disinformazione (i «circuiti di intolleranza e di egoismo» di cui lei parla sono, troppo spesso, anche mediatici, e dicendolo penso sia ai vecchi sia ai nuovi canali di comunicazione personale e di massa...). Stia tranquillo, comunque. Non la catalogherò per questo suo ragionamento tra i pessimisti rinunciatari, non ce n’è motivo. E credo che lei non lo sia. Le auguro perciò di essere sempre un realista capace di portare in cuore e nelle relazioni che costruisce la speranza (è questa la mia personale traduzione di “ottimista”). Quella speranza della quale chi crede è chiamato a «dare ragione», rivoluzionando il mondo con il metro dell’amore. E grazie alla quale chi non crede – penso alla grande lezione di Ernst Bloch, ateo e straordinario uomo di speranza – può tentare di radicare l’eterno nel presente e di motivare, appunto, un «ottimismo militante». Dio sa, tanti di noi sanno, quanto ne abbiamo bisogno.

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