venerdì 15 dicembre 2023
Una task force occidentale anti-sciiti è più di un'opzione nello stretto di Bab el-Mandeb. Una zona strategica per il commercio internazionale
Un elicottero militare Houthi scende sulla nave Galaxy Leader nel Mar Rosso. Il cargo è stato sequestrato e ancorato al largo del porto di Al-Salif, in Yemen

Un elicottero militare Houthi scende sulla nave Galaxy Leader nel Mar Rosso. Il cargo è stato sequestrato e ancorato al largo del porto di Al-Salif, in Yemen - Reuters

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Fino a quando sarà tollerata la guerra navale e missilistica degli Houthi, armati ed eterodiretti da Teheran che anche ieri hanno attacco un cargo libanese nel Mar Rosso? Molto prudenti, gli americani stanno pensando di imbastire una coalizione aeronavale che, operando nel Mar Rosso, faccia da scudo ai cargo in transito nello Stretto di Bab el-Mandeb. L’idea è interessante: come a Hormuz durante l’operazione Earnest Will, si tratterebbe di scortare i battelli, proteggendoli con le tante armi antiaeree ed antimissile di cui sono dotate le navi militari. L’iniziativa di Washington, tardiva, è vista come fumo negli occhi dagli iraniani, che minacciano di causarle «problemi straordinari».

La Marina iraniana ha qui e nel Golfo di Aden due fregate. Per il Washington Institute, «con i droni a lungo raggio e i radar potrebbe aiutare i vassalli yemeniti a migliorare la precisione dei raid e incoraggiarli ad alzare ancora di più l’asticella». Se la guerra mediorientale dovesse continuare, stante la cobelligeranza degli Houthi con Hamas, un intervento internazionale sarebbe forse inevitabile: non agendo (affermano in molti), i guerriglieri yemeniti potrebbero sentirsi invulnerabili e paralizzare i commerci in un’arteria vitale: Bab el-Mandeb è il quarto “choke point” (collo di bottiglia) più trafficato al mondo: tante sono le merci che vi passano, compresi 6 milioni di barili di petrolio al giorno, equivalenti al 9% degli scambi petroliferi mondiali. Ne dipendono tutti: tanto all’Ovest quanto in Cina, India e Giappone. Anche l’Egitto ha molti interessi in gioco: la sua economia vive di diritti di passaggio via Suez di 5 miliardi di dollari annui.

La fondazione mediterranea di studi strategici ricorda che le forze armate del Cairo dispongono della base di Bernis, «vicina al triangolo di Halain»: lo Yemen è a portata dei jet e delle navi di al-Sisi. La Marina egiziana, guardiana del Canale, ha «capacità di proiezione nel Mar Rosso, e può agire in appoggio a sauditi ed emiratini» che, per quanto arabi, non possono sacrificare tutti i loro interessi in nome della solidarietà a Gaza.

Se i cinesi si chiamassero fuori, a francesi e americani (che secondo il sito Axios hanno mandato segnali chiari ai ribelli yemeniti, mentre i raid sarebbero «imminenti») potrebbe competere il comando della task force anti-Houthi: a parte le navi, gli uni e gli altri hanno jet e droni a Gibuti e nel Golfo Persico. In passato, quando i guerriglieri yemeniti avevano alzato troppo la cresta, erano bastati un paio di missili Tomahawk a farli ravvedere: «La rappresaglia interruppe i loro attacchi», scrive l’esperto militare del Washington Institute Farzin Nadimi.

Che cosa accadrebbe se gli Houthi minassero il Mar Rosso? Arrivate dall’Iran e prodotte anche in loco, gli insorti hanno in mano almeno 11 tipologie di mine navali, in numero imprecisato. Per ora a bassa intensità, la “guerriglia delle petroliere” yemenita ha già causato una miriade di contraccolpi economici: per Calcalist, le attività e i guadagni del porto di Eilat sono crollati dell’80% e i premi assicurativi del transito via Bab el-Mandeb sono balzati dallo 0,03% d’ante guerra allo 0,05%-0-10%. Visti i pericoli, alcuni armatori preferiscono evitare lo Stretto e pagare fior di quattrini per circumnavigare l’Africa e raggiungere il Mediterraneo via Gibilterra. Il 7 ottobre significa anche questo: una guerra locale che colpisce tutti e che rischia di incendiare ancora di più il Medio Oriente.




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