domenica 19 maggio 2024
Cresce il numero dei detenuti anziani che muoiono in cella. «In carcere i 40 anni sono come i 60, oltre i 55 si è geriatrici»
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Quando Norma Wailey chiama suo marito in prigione fa del suo meglio per non piangere. Isaiah, al quale è sposata da quasi mezzo secolo, è stato condannato a 40 anni per rapina e tentato omicidio. Ne deve scontare ancora dieci ma, a 69 anni, Norma teme che non uscirà vivo di cella. «Si muove come un 80enne, dimentica le cose, fa fatica a parlare. In carcere è diventato diabetico e non è lontano dall’insufficienza renale – ha raccontato Norma ai ricercatori della Columbia university –. E fatica a ottenere cure mediche». Isaiah è uno delle centinaia di migliaia di prigionieri che stanno invecchiando nelle carceri statunitensi e che potrebbero morire dietro le sbarre.

La popolazione penitenziaria negli Usa ha infatti raggiunto il picco di circa 1,6 milioni di persone nel 2009 e da allora è leggermente diminuita, eppure il numero di anziani che finiscono i loro giorni in carcere continua ad aumentare.

Pene detentive più lunghe e il ricorso più frequente all’ergastolo ostativo hanno moltiplicato per cinque (portandoli fino a 280.000 ) in vent’anni i detenuti con più di 55 anni, che le prigioni classificano come «geriatrici». Non a torto secondo Dan Pfarr, amministratore delegato di un'organizzazione non profit nel Minnesota, 180 Degrees: «In prigione, 40 anni sono 60, e 60 sono 80», assicura.

Infatti, l’età media di morte delle persone rinchiuse nelle carceri statali Usa è 57 anni, secondo il Behind Bars Data Project della Scuola di Giurisprudenza dell’Ucla. Come fa notare un rapporto della Columbia, fra 2010 e il 2020 nei penitenziari di New York sono morte più persone di quelle uccise in esecuzioni capitali durante i 370 anni in cui la pena di morte è stata legale nello Stato. Il rapporto conclude che l’ergastolo rappresenta «il nuovo boia», soprattutto negli Stati dove le esecuzioni sono state messe fuori legge.

«Se non puoi uccidere qualcuno con l’iniezione letale, puoi farlo rinchiudendolo per decenni – spiega Melissa Tanis, coautrice del rapporto –. È una scappatoia utilizzata per punire le persone in un modo che non riconosce la loro umanità e la loro capacità di cambiare. Quando si è in prigione da decenni, il motivo per cui vi si è arrivati diventa irrilevante».

Tribunali troppo zelanti sembrano infatti aver condannato a finire i loro giorni in una cuccetta d’acciaio persone ormai innocue per la società. Il tasso di recidiva per i condannati tra 50 e 65 anni è circa il 2% ed è vicino allo zero per gli over 65.

Ma alla fine degli anni Ottanta la guerra alla droga ha dato il via a una tendenza a condanne più severe. Gli aumenti della criminalità violenta che hanno fatto seguito alla pandemia hanno contribuito a sentenze ancora più punitive, con poche opportunità di riabilitazione disponibili all’interno. La norma è diventata quella di chiudere la porta e buttare via la chiave, abbandonando migliaia di persone in strutture crudeli verso chi si ammala o perde le forze. «Molte malattie croniche sorgono o sono esacerbate in carcere», dice Stephanie Grace Prost, docente dell’Università di Louisville che fa ricerca su salute e invecchiamento nelle carceri. La fascia di età sopra i 55 anni rappresenta due terzi dei decessi nelle carceri statali. Erano il 34% nel 2001. Le iniziative di riforma per ora languiscono nelle assemblee statali. A New York, ad esempio, una proposta di legge, il Fair and Timely Parole Act, è stata introdotta nel 2017 ma non è mai stata votata. Ordinerebbe alla commissione per la libertà condizionale dello Stato di «concedere il rilascio discrezionale a meno che l’individuo non presenti un rischio che non può essere mitigato con la supervisione», vi si legge. «La commissione spesso nega la libertà condizionale a causa della natura del reato e dà poca considerazione al tempo trascorso dalla condanna o al rischio di violare ancora la legge», continua il testo.

Un altro atto legislativo introdotto nel 2018, l’Elder Parole Bill, farebbe in modo che i newyorkesi di età superiore a 55 anni che hanno scontato almeno 15 anni ottengano un’udienza per la libertà condizionata indipendentemente dalla loro pena. Anche questa non è ancora stata discussa, togliendo ogni speranza a detenuti come Isaiah, che pure ha completato tutti i programmi carcerari richiesti per la riabilitazione.

Intanto, lo staff della prigione ha confessato a Norma di non avere abbastanza personale per trasportare suo marito a fare la dialisi regolarmente in ospedale, quando ne avrà bisogno. «Che cosa dovrebbe fare? – conclude Norma –. Lasciarsi morire?».

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