sabato 4 maggio 2024
Chiesti 50 milioni per non rivelare documenti di una compagnia petrolifera. Ma intanto cala la spedizione di gas verso l'Italia e si acuiscono le tensioni interne. Sopetti su cyber-pirati filorussi
L'elenco di alcuni dei documenti trafugati dagli hacker alla "Melitah Oil and Gas"

L'elenco di alcuni dei documenti trafugati dagli hacker alla "Melitah Oil and Gas"

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Cinquanta milioni di dollari per non divulgare dati sensibili di una società petrolifera. Scadenza oggi, 4 maggio 2024. Un agguato informatico, in apparenza. Se non fosse che avviene in Libia, dove l’instabilità e le faide fanno temere che dietro agli hacker che hanno chiesto il riscatto, e da ieri messo nel mirino anche la Banca centrale, vi sia nient’altro che un salto di qualità nel conflitto interno per il controllo del potere e i traffici di petrolio, armi, migranti e droga. Con qualche influenza esterna.

Che la sigla “ramsonHub” sia la maschera di gente che con la tastiera fa sul serio, lo ha confermato ieri mattina quanto accaduto all’istituto bancario centrale tripolino, costretto ad annunciare la momentanea sospensione del sistema di cambio del dollaro Usa. Un attacco informatico concentrato esclusivamente sull’infrastruttura che presiede alle operazioni in valuta americana, salvaguardando invece il resto dei sistemi.

Una piattaforma petrolifera al largo della Libia

Una piattaforma petrolifera al largo della Libia - Archivio Avvenire

​I cyberpirati hanno diffuso sui social network alcune immagini che confermerebbero di essere entrati in possesso di materiale riservato sottratto a “Melitah Oil and Gas”, partecipata anche dall’italiana Eni. Un modo per aumentare la pressione. Pubblicamente “ramsonHub” chiede soldi, ma prima di tutto domandava di essere contattata per avviare una trattativa. Di mezzo, è il sospetto di fonti dell’intelligence, non ci sarebbe solo il riscatto in denaro, ma la partita per la gestione dell’infinita transizione libica.

“Melitah Oil and Gas” è la più grande compagnia petrolifera in Libia, «con una produzione - spiega la società - di 600mila barili equivalenti di petrolio al giorno (petrolio greggio, gas naturale, gas condensato: propano, butano e nafta (oltre a una produzione giornaliera di 450 tonnellate di zolfo)». L’azienda gestisce diversi giacimenti sparsi in tutto il Paese e campi offshore «composti da tre piattaforme e un serbatoio galleggiante», precisa la compagnia che controlla una rete di linee di tubazioni estesa per migliaia di chilometri. Parte del gas naturale lavorato dal complesso industriale di Mellitah viene esportato attraverso una rete di condotte sottomarine da Mellitah alla Sicilia, ed è considerato il primo collegamento tra la Libia e l'Europa. Una fonte ufficiale di “Mellitah Oil and Gas” ha smentito attraverso l’agenzia “Nova” le voci relative all’attacco attacco cibernetico contro l’unico snodo per l’esportazione del gas libico verso l’Italia. Al contrario, proprio l’Eni avvalora l’intrusione informatica. «Confermiamo che la società libica Mellitah Oil and Gas, partecipata anche da Eni, è stata vittima di un attacco hacker - si legge in una dichiarazione inviata ad “Avvenire” -. La produzione, e in generale le attività operative, non sono state impattate. É in corso il graduale ripristino dei sistemi IT (l’infrastruttura informatica, ndr) oggetto di compromissione. Nessuna business unit o divisione di Eni è coinvolta nell’incidente: il problema è rimasto confinato ai sistemi di “Mellitah Oil and Gas”. Eni infine non commenta eventuali presunte rivendicazioni, e precisa di non avere in corso alcun contatto esterno a riguardo».

La trattativa, dunque, è stata gestita attraverso la Libia. E deve essere andata a buon fine, se poche ore fa la minaccia è sparita dal web e anche i documenti campione divulgati per dimostrare di aver penetrato i sistemi, sono stati rimossi. Secondo le informazioni diffuse attraverso alcune utenze internet, il gruppo criminale era riuscito a impadronirsi di “1 terabyte” di dati, tra cui documenti finanziari e bancari, dati relativi a passaporti e assicurazioni, dettagli sulla produzione di petrolio in diverse regioni, corrispondenza riservata, documenti contenenti accordi di non divulgazione, corrispondenza interna dei dipendenti e dei clienti dell'azienda.

L’attacco arriva nel momento in cui la crisi interna alle istituzioni libiche rischia di deflagrare in una nuova serie di scontri. «Non possiamo escludere - spiega una fonte di intelligence - che in realtà lo scopo di questi attacchi sia quello di creare instabilità per aprire una nuova fase nella spartizione del potere». Non è un caso che “Melitah Oil and Gas” abbia sede anche in Cirenaica, a Bengasi, la roccaforte del generale Haftar, sostenuto politicamente e militarmente dalla Russia e da anni in guerra aperta con le autorità riconosciute di Tripoli. Nelle ultime settimane erano stati registrati segnali di un riavvicinamento tra le regioni libiche, ma le dimissioni dell’inviato Onu in Libia hanno reso plateale il gioco delle parti. Abdoulaye Bathily, il diplomatico senegalese che ha seguito la lunga scia di inviati dimissionari, ha dichiarato che «la situazione è peggiorata», condannando la «mancanza di volontà politica e buona fede» delle parti libiche coinvolte nel processo di stabilizzazione.


Gli attacchi all’Eni non sono una novità e il “Piano Mattei” varato dal governo italiano, da una parte fa gola per i fondi messi a disposizione e dall’altro viene ostacolato per ridimensionare le ambizioni di Roma. Se in passato la multinazionale italiana dell’energia è stata sottoposta a forti pressioni dalle milizie libiche che, specie nell’area costiera di Zuara e Zawyah, hanno stabilito una polizia petrolifera che il cui giro d’affari si regge tra estorsioni, contrabbando di petrolio, traffico di esseri umani e armi, adesso è la Russia a voler regolare in Libia conti aperti altrove. Il 2 maggio l’agenzia di stampa “Nova” aveva annunciato che Eni costituirà un consorzio di imprese per lo sviluppo del giacimento gasiero “NC7” di Hamada, nel bacino di Ghadames, in Libia. Il distretto si trova a circa 600 chilometri a sudovest di Tripoli, al confine con Tunisia e Algeria. Per il giacimento sarà indetta una gara d’appalto nel quarto trimestre del 2025. Secondo il governo di Tripoli le riserve di gas sono stimate in 56,6 miliardi di metri cubi di gas.

L'attuale produzione petrolifera della Libia, per il ministro del petrolio Abdel-Sadiq supera 1,2 milioni di barili al giorno ed è probabile che aumenti entro la fine di quest'anno, fino a circa 1,45 milioni di barili. Secondo i dati dell’italiana Snam - il primo operatore europeo nel trasposto del gas naturale con una rete in Italia e all’estero di circa 38 mila chilometri - i flussi al punto di ingresso di Gela, dove approda il GreenStream dalla Libia, si sono dimezzati nei primi due mesi del 2024: da 400 milioni di metri cubi del periodo gennaio-febbraio 2023 ai 200 del primo bimestre 2024, pari al 2,15 per cento dei 9,3 miliardi di metri cubi di gas importati in Italia. La domanda di petrolio e gas libico, secondo il ministro Abdel-Sadiq è aumentata a causa delle turbolenze geopolitiche nel Mar Rosso, dove i combattenti Houthi nello Yemen e la pressione dell’Iran sullo Stretto di Hormuz stanno costringendo la borsa energetica, dicono a Tripoli con una battuta, «a grafici da montagne russe». Non è solo un modo di dire. In attesa dell’annunciato rialzo, la produzione del gas libico è in costante calo. E l’attacco informatico di “ramsonHub” non viene preso sottogamba: nell’ambiente dell’intelligence occidentale il gruppo di pirati è noto per operazioni filorusse.
Perciò la minaccia informatica contro “Mellitah Oil and Gas Company” e i “malfunzionamenti” nel sistema di cambio dinaro-dollaro, secondo diverse fonti di intelligence e di security private consultate da “Avvenire”, sono da interpretare come «una classica faida libica, racchiusa in una meccanica a matrioska ancora da tutta da decifrare».

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