sabato 18 maggio 2024
Ebreo uno, palestinese l'altro, hanno raccontanto la loro storia di dolore sul palco veronese. Dopo la strage del 7 ottobre hanno perso genitori e parenti, poi un messaggio li ha fatti incontrare
Da sinistra, l’israeliano Maoz Inon eil palestinese Aziz Abu Sarah

Da sinistra, l’israeliano Maoz Inon eil palestinese Aziz Abu Sarah - .

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Si erano conosciuti dieci anni prima, per una manciata di minuti al massimo, a una conferenza. Sulla carta, i punti in comune erano tanti. Entrambi giovani imprenditori, entrambi decisi a trasformare il turismo in uno strumento di conoscenza tra i popoli. Una voragine storica, però, in apparenza, li divideva. L’uno, Maoz Inon, era israeliano. L’altro, Aziz Abu Sarah, era palestinese. Non hanno avuto il tempo di parlarne quella volta. Lo avrebbero fatto dopo. E a lungo.

A farli reincontrare, la carneficina peggiore che abbia insanguinato Israele nei suoi quasi ottant’anni di esistenza. Il 7 ottobre, il kibbutz Nir Am, dove viveva la famiglia Inon, è stato uno dei tanti attaccati da Hamas: i genitori di Maoz, Bilha e Yacovi, sono fra le 1.200 vittime del massacro. Sentita la notizia, Aziz, a cui il conflitto ha strappato il fratello Tayseer, morto mentre era in custodia delle autorità israeliane, ha voluto scrivergli su WhatsApp: «Sono così dispiaciuto per i tuoi genitori. Il mio cuore è spezzato. È così terribile, non ho parole. È stata un’azione da vigliacchi. Ti invio tutto il mio sostegno e affetto». Il gesto di solidarietà ha aperto una strada nuova su cui Maoz e Aziz camminano insieme, con lo sguardo fisso su un orizzonte di pace possibile fra i rispettivi possibili. E insieme sono arrivati ad Arena di Pace 2024 per dire che il Medio Oriente non è condannato a una guerra senza fine.

«Ho scritto a Maoz di impulso. Ero rimasto molto colpito dalla sua prima dichiarazione pubblica dopo il massacro. Aveva detto di soffrire non solo per i genitori assassinati ma anche per il popolo di Gaza, dilaniato dalle bombe. Quanta forza ci vuole per dire una cosa simile all’indomani del 7 ottobre? Quanto sarebbe stato più facile esigere rivalsa. Ho capito quanto Maoz fosse coraggioso. Io ci ho messo anni e anni per trasformare il dolore per l’uccisione di mio fratello di 19 anni da parte dei soldati israeliani in motore di riconciliazione. All’inizio pensavo la vendetta fosse l’unica scelta possibile. È stato solo quando ho cominciato a studiare ebraico insieme agli immigrati giunti in Israele che ho compreso di avere altre opzioni. Potevo smettere di somigliare a coloro che avevano ammazzato mio fratello. Potevo decidere io chi volevo essere, così mi sono messo all’opera», racconta Aziz che, da allora, è diventato un attivo costruttore di pace in vari teatri del mondo con il Center for world religions, diplomacy and conflict resolution, con il programma radio All for peace e con Mejdi, una compagnia che offre tour per ebrei, cristiani e islamici interessati a conoscere “l’altra metà della storia”. «La parte mancante. È sempre in questo vuoto che si annida il conflitto cruento. L’ho constatato negli oltre settanta Paesi in guerra dove sono stato. Per questo, credo nel valore cruciale della parola condivisa» sottolinea.

«Aziz è stato uno dei primi palestinesi a farmi le condoglianze. L’ho molto apprezzato. Ha voluto essermi vicino nel momento peggiore. Gli ho chiesto dunque se potevamo parlarci. Qualche tempo dopo ci siamo visti online… Dopo la morte dei miei genitori ero in pezzi. La notte ho fatto un sogno. Vedevo i volti delle vittime del massacro. Erano feriti, sofferenti. Dai loro occhi scendevano grosse lacrime che arrivavano fino alla terra, intrisa di sangue. Al cadere, le lacrime pulivano il sangue, facendo comparire un sentiero. Quando mi sono svegliato ho capito: da tutta quella sofferenza, le atrocità perpetrate, l’angoscia inflitta, doveva nascere un nuovo corso. Una vita per la pace» gli fa eco Maoz.

I due imprenditori sono tra i testimonial di fronte a papa Francesco e al pubblico di Arena 2024 del tavolo su “Economia, lavoro e finanza”, uno dei cinque pilastri per la costruzione di una convivenza nonviolenta – accanto a “Migrazioni”, “Ecologia integrale e stili di vita”, “Democrazia e diritti”, “Disarmo” – individuati da oltre duecento organizzazioni, movimenti e gruppi di cittadine e cittadini di tutta Italia che, per oltre un anno, hanno riflettuto su come “disarmare” il sistema economico. «In realtà, il metodo per fare impresa sociale è il medesimo di quello per portare avanti un processo di pace - afferma Maoz -. Lo per esperienza. Ogni volta che ho messo su un’attività mi sono basato su cinque principi: avere un sogno, agire in base a dei principi, creare alleanze, elaborare un piano strategico e metterlo in atto. Sono le stesse fondamenta su cui si costruisce la pace. È questa la nostra impresa più urgente ora. Lo devo ai miei genitori. Quando li ho seppelliti, ho compreso che mi avevano cresciuto per questo momento. Sono loro a ispirare i miei gesti e le mie parole. Mia madre era un’artista. Dipingeva soprattutto i “mandala”, l’universo secondo le tradizioni induiste e buddiste. In tutta la sua vita, me ne ha regalato solo uno. E vi ha scritto sopra: “Qualunque sogno può essere raggiunto se abbiamo il coraggio di inseguirlo”».

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