Mps-Mediobanca e la vera partita che si gioca sulle regole

In parallelo alla scalata (e all'inchiesta), è quasi in porto la riforma del Testo unico sulla finanza che punta a rendere più attrattivo il mercato italiano dei capitali. Che ogni anno perde risorse preziose per lo sviluppo
December 4, 2025
Mps-Mediobanca e la vera partita che si gioca sulle regole
Il palazzo che ospita la sede di Mediobanca in piazzetta Cuccia a Milano / ANSA
Prima le grandi manovre su Mps e Mediobanca, poi l’inchiesta giudiziaria deflagrata in questi giorni. Quanto è accaduto tra il cuore di Siena e il salotto buono a due passi dalla Scala di Milano è una grande partita finanziaria, politica e inevitabilmente di potere. Sullo sfondo c’è l’evoluzione del mercato dei capitali italiano, la sua capacità di mettere in comunicazione (anche) il risparmio con l’economia reale e delle sue regole del gioco, oggetto di una riforma attesa da tempo. I due piani sono distinti, probabilmente non vanno troppo mischiati e confusi, ma tenerli insieme può aiutare a capire che in ballo non ci sono solo gli interessi dei protagonisti della scalata alla banca più antica del mondo.
L’inchiesta di Milano
Partiamo dall’inchiesta della procura di Milano, a cui toccherà chiarire se intorno a un’operazione impensabile fino a pochi anni fa si sia materializzato formalmente un “concerto”. Ovvero se ci sia stata un’azione congiunta di alcuni soggetti privati che hanno condiviso – nei singoli dettagli - uno “spartito” tra di loro ma senza comunicarlo al mercato, creando così un potenziale danno agli altri azionisti della società quotata, che avevano pieno diritto di conoscere l’evoluzione della partita in tutti i suoi elementi. In particolare sarà interessante capire se e quale ruolo – decisivo – abbiano avuto i singoli “strumentisti”: i grandi soci Caltagirone e Delfin (la holding degli eredi Del Vecchio), gli altri soci che stavano loro intorno (ad esempio le Casse di previdenza), il vertice di Mps, i vari rappresentanti delle istituzioni che hanno preso parte alla vicenda.
Le grandi manovre
Il lavoro dei Pm milanesi è venuto a galla la settimana scorsa anche se era in corso dalla primavera. D’altronde è da oltre un anno che intorno al Monte dei Paschi di Siena chiunque ha potuto cogliere un vero e proprio “crescendo” di volume e volumi (di scambio delle azioni), cioè da quando il Tesoro ha venduto un cospicuo pacchetto della banca – circa il 15% - attraverso un solo intermediario, banca Akros (di proprietà Bpm), ma soprattutto ad alcuni investitori, gli stessi Caltagirone e Delfin, che già da anni figurano tra i più importanti soci di Mediobanca e Generali. In sostanza agli inquirenti toccherà dimostrare l’esistenza di un concerto dal punto di vista formale (con tutte le sue conseguenze), ma che questi soggetti suonassero la stessa musica da tempo era noto e innegabile: da circa dieci anni Caltagirone e Del Vecchio condividono le stesse istanze dentro a Generali, in particolare l’atteggiamento critico verso il vertice della compagnia e ancora di più verso il “dante causa” Alberto Nagel ceo di Mediobanca, salotto buono in cui i due soci hanno occupato uno spazio crescente ora culminato nella scalata attraverso Mps. È un fatto che i due grandi soci, espressione del capitalismo privato imprenditoriale che dall’industria e dalle costruzioni si è allargata alla finanza abbiano strategie convergenti da anni. Ma non basta questo per determinare la presenza di un concerto, fattispecie disciplinata nei dettagli dalle norme che regolano il mercato.
Il cantiere in corso
Proprio le regole del gioco a cui devono sottostare i giocatori in campo in questa partita, ma non solo, da tempo sono al centro di un progetto di riforma. Un processo scaturito in epoca Gentiloni-Padoan, caldeggiato dal governo Draghi, approfondito in un Libro verde curato dal Mef e poi affrontato di petto da quello guidato da Giorgia Meloni. L’obiettivo: rendere più attrattivo il mercato italiano dei capitali, in difficoltà ad attirare investimenti esteri ma anche domestici, con decine di miliardi di risparmi che così ogni anno finiscono per uscire dall’Italia e capitalizzare imprese o iniziative straniere. In nome di questa missione il governo, e in particolare il Tesoro, negli anni ha dato gambe a una revisione normativa ormai giunta a buon punto. Dopo aver approvato nel 2024 la cosiddetta Legge Capitali, oggi è in fase di implementazione la delega che punta a riformare il Testo unico della Finanza. La materia è molto tecnica. Oggetto della riforma, si diceva, sono anche alcuni passaggi chiave della vicenda Mps-Mediobanca, che però intanto si è compiuta. Come lo stesso concerto, ad esempio, che nella nuova formulazione consentirà ai presunti concertisti di dimostrare il contrario (opzione oggi non prevista). O la soglia oltre la quale scatta l’obbligo di lanciare un’offerta pubblica di acquisto, un’Opa, sul totale delle azioni di una società finita nel mirino: l’obiettivo è uniformarla e alzarla al 30%. O la possibilità di indire assemblee a porte chiuse, con la rappresentanza dei piccoli soci affidata a un solo delegato. O l’alleggerimento delle responsabilità in carico ai consiglieri di amministrazione indipendenti, quelli non nominati dai soci di controllo.
Sulla materia sono in corso le audizioni alle commissioni Giustizia e Finanze di Camera e Senato. Davanti ai parlamentari stanno sfilando proprio in questi giorni i rappresentanti delle categorie o dei soggetti interessati, come la Consob, l’associazione dei gestori del risparmio Assogestioni, o la Banca d’Italia: tutti concordano nel sottoscrivere l’obiettivo di ampio respiro della riforma, salvo poi sollevare alcune questioni di dettaglio e proporre lievi ritocchi migliorativi. Niente di trascendentale, ma nelle osservazioni c’è un denominatore comune che suona più o meno così: va bene facilitare l’accesso al mercato, snellire le procedure e rimuovere alcuni paletti, ma attenzione a garantire massima trasparenza e tutelare tutti gli azionisti, che fisiologicamente hanno interessi diversi. I più grandi, ad esempio, puntano a far valere il proprio peso e poter agire celermente senza finire “ostaggio” dei quelli piccoli, che al tempo stesso chiedono trasparenza e tutela.
La posta in palio
Alcuni osservatori ritengono che non sia casuale l’incrocio tra la partita su Mps e la riforma, che per questo andrebbe fermata. Molti altri ricordano che da decenni si lamenta l’inefficienza di un mercato dei capitali che – non solo in Italia - soffre di un’emorragia cronica: l’hanno denunciata su scala europea Enrico Letta Mario Draghi, l’ha sottolineata per l’Italia anche il capo del dipartimento di Vigilanza di Via Nazionale, Giuseppe Siani la settimana scorsa, quando davanti a deputati e senatori ha  ricordato che tra il 2021 e il 2024 la capitalizzazione di Borsa delle aziende non finanziarie si è ridotta di 100 miliardi (per lo più per l’effetto dell’uscita di società verso altri listini o in generale dal mercato); e in un solo anno, tra il 2023 e il 2024, la capitalizzazione di Piazza affari rispetto al Pil è scesa dal 23 al 21%.
Segnali di una tendenza che negli anni si è consolidata, ed è quella dei grandi investimenti di fuggire: altre borse, altri mercati, altre società. Con una conseguenza drammatica, per un paese ammalato di crescita zero come il nostro: il risparmio degli italiani, tra le poche risorse semi-naturali di cui disponiamo, va a sostenere progetti di investimento che nascono e si sviluppano all’estero, in ecosistemi che finiscono per farci concorrenza. Giusto agire sulle regole, se – come è plausibile – con regole diverse si potrà invertire questo trend. Un trend che spiegherà i suoi effetti anche quando i concerti del momento, reali o presunti, leciti o illeciti, saranno finiti da un pezzo.

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