Perché Genova (con l'ex Ilva) oggi è il cuore della protesta dei lavoratori
La strategia del ministro Urso non convince i sindacati, che chiedono un coinvolgimento dello Stato. In migliaia nel capoluogo ligure, al loro fianco anche la sindaca Salis, che dice: «Chiediamo che il governo entri nella gara». A Taranto sospeso lo sciopero a oltranza

Partita nei giorni scorsi dalle strade di Taranto, l’onda lunga della protesta, della preoccupazione e delle incognite sul futuro dell’acciaio italiano è arrivata oggi fino a Genova, in una giornata umida e grigia che ha visto migliaia di operai scendere in piazza per scandire una parola sola: «Lavoro». Un’energia irrequieta, quella che ha attraversato il capoluogo ligure, la frustrazione dei metalmeccanici maturata come conseguenza diretta di ciò che da giorni avviene in Puglia: due fronti geograficamente distanti, ma connessi da un’unica arteria industriale. Se gli altiforni tarantini si fermano, a Genova non arriva più la banda da trasformare in latta e zincato. E quando la materia prima si interrompe, l’intera filiera si sgretola. È questo il legame cruciale: il destino dell’ex Ilva non esiste per singoli stabilimenti, ma come organismo nazionale unico. Se si spegne Taranto, si spegne anche Cornigliano.
Alle nove del mattino il corteo ha preso forma ai giardini Melis, sotto lo striscione «Genova lotta per l’industria». In testa, i lavoratori dell’ex Ilva hanno portato quattro mezzi pesanti dello stabilimento, quasi un gesto di auto-rappresentazione: senza acciaio non c’è futuro produttivo, senza produzione non c’è lavoro. Accanto a loro, le maestranze di Ansaldo Energia, Piaggio Aerospace e Fincantieri hanno composto una colonna umana trasversale. La sindaca Silvia Salis ha raggiunto il corteo parlando con toni diretti: «Ci aspettiamo risposte. Vogliamo capire cosa succede se la gara va deserta. E il governo deve entrarci, perché senza una presenza pubblica la prospettiva è la chiusura».
Davanti alla prefettura la tensione è esplosa. Un operaio Fiom è rimasto ferito alla testa, probabilmente da un fumogeno, gli alari di protezione sono stati strappati via dai manifestanti agganciando a una macchina da lavoro un cavo d’acciaio, mentre la polizia rispondeva con i lacrimogeni. Per qualche momento nella zona si è respirato un’aria di scontro aperto, mentre i cori contro il ministro Urso bucavano il fumo degli pneumatici dati alle fiamme. Poi lo spostamento a Brignole, dove i lavoratori hanno occupato la stazione. Armando Palombo della Fiom ha ribadito: «Noi la chiusura dell’Ilva non la vogliamo. Aspettiamo chi ha il coraggio di metterci la faccia». L’arrivo del governatore della Liguria Marco Bucci ha provato a riannodare un dialogo. «Continuiamo a lavorare affinché l’acciaio venga prodotto in Italia» ha detto, ricordando che il tema riguarda tutto il Paese: «Quello che si fa a Genova vale per l’Italia».
Sul fronte politico la frattura resta aperta. Secondo i sindacati il governo ha rinnegato il piano originario — tre Dri, quattro forni elettrici, uno a Genova — sostituendolo con un’impostazione a ciclo corto che, nella loro lettura, condurrà allo spegnimento degli impianti entro marzo. Per Michele De Palma, segretario Fiom, «è inaccettabile cambiare le carte in tavola. Non ci sono i soldi per far funzionare gli impianti. Questa è la verità». Il ministro Urso, ieri in Parlamento, ha ribadito invece che «non c’è nessun piano di chiusura» e che la manutenzione straordinaria permetterà di «consegnare impianti funzionanti e sicuri con almeno quattro milioni di capacità produttiva». Ha assicurato inoltre che a Genova non ci sarà cassa integrazione e che a Novi Ligure «tutti resteranno al lavoro». Ma queste parole, per ora, non hanno scalfito la compattezza dei lavoratori. «Il governo non ferma l'idea del ciclo corto e questo è pericoloso per tutto il gruppo e il rischio concreto per lo stabilimento di Cornigliano che, se dovesse fermarsi chiuderebbe per sempre», è la posizione di Christian Venzano, segretario generale Fim Cisl Liguria.
A Taranto – dove lo sciopero a oltranza è stato sospeso solo stamane – la mobilitazione per giorni è stata continua, notte e giorno. Lo stabilimento pugliese fornisce la banda che Cornigliano trasforma: se Taranto rallenta o si spegne, Genova resta senza materia da lavorare. La protesta quindi non è una somma di rivendicazioni locali, ma una battaglia che difende un’unica filiera. Nella lunga giornata di Genova, dopo ore dentro la stazione, la colonna della protesta è tornata ieri a un certo punto verso Cornigliano per riprendere il presidio in attesa dell’incontro di oggi a Roma tra Urso, il governatore Bucci, la sindaca Salis. Sul tavolo ci sono domande pesanti: quali garanzie reali per gli impianti? Quale futuro industriale per l’acciaio? Finché non arriveranno risposte, il fronte rimarrà aperto. Le preoccupazioni riguardano anche gli appalti, considerati l’anello più vulnerabile. Le categorie del terziario e dei trasporti parlano apertamente di «catastrofe sociale» in caso di mancato intervento del governo. Forse è proprio questa consapevolezza, più della rabbia, a muovere la folla: la sensazione di essere arrivati al limite e che, senza una svolta, il futuro rischia di essere davvero cupo.
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