Hanno stropicciato la manovra (e un po' anche il Parlamento)

Più che un disegno organico la Legge di Bilancio assomiglia a un pot-pourri affastellato, arrivato il 17 dicembre senza nemmeno l'ombra di un voto in aula
December 18, 2025
Hanno stropicciato la manovra (e un po' anche il Parlamento)
Il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti/ ANSA
Siamo arrivati a una legge di Bilancio stropicciata. Nel metodo e nel merito, con una raffica di giri di vite su quelle pensioni per le quali il centrodestra – ora più "forneriano" della Fornero – tradisce con una doccia fredda di realismo contabile le promesse, fatte quando era all’opposizione, di uscite dal lavoro sempre più comode. E con un insieme di misure che non disdegnano nemmeno qualche tassa in più, di cui alla fine è difficile cogliere il filo logico. Riscritta a metà dicembre per fare 3,5 miliardi di concessioni gradite alle imprese (che si lamentavano), dopo aver colpito invece banche e assicurazioni. Ma andiamo con ordine, in attesa ancora di vedere il testo definitivo di quella che una volta era la legge “regina” e occupava il Parlamento da ottobre per tre mesi interi, con approfondite discussioni, in quella che formalmente ancora si chiama “sessione di bilancio”. Oggi è svilita a un provvedimento raffazzonato, arrivato al 17 dicembre senza nemmeno l’ombra di un voto parlamentare. Uno spettacolo avvilente per un Paese che nel referendum del 2016 ha difeso il bicameralismo paritario. E avvilente – va detto – in primis per i parlamentari, ridotti a pigiare una volta un tasto per dire sì (o no) al maxi-emendamento governativo e al sicuro voto di fiducia, probabilmente senza nemmeno aver letto un testo che il Governo stesso continua a cambiare a oltre due mesi dal varo.
Passando poi al merito, il quadro che ne esce è confuso. Della manovra rimangono valide alcune misure per le famiglie e quella che sin dall’inizio è stata la norma-simbolo: la riduzione dal 35 al 33% dell’aliquota Irpef fra 28mila e 50mila euro. Portando avanti quel taglio delle tasse che si intende proseguire anche l’anno prossimo. Solo che è stata inspiegabilmente concessa anche a chi guadagna più di 100mila euro lordi, “regalando” loro circa 205 milioni. Per poi andare, però, a rastrellare soldi qui e là, dai 2 euro sui pacchi in arrivo da non meglio specificati “Paesi terzi” (c’è qui il nodo del raccordo con l’analogo intervento allo studio dell’Ue) fino al capolavoro, ma all’incontrario, sull’assegno d’inclusione: dove, in una sorta di insensata “guerra ai poveri”, per recuperare appena 100 milioni (a fronte di un importo totale della manovra di 18,7 miliardi), si decide di dimezzare la prima mensilità a chi si vede rinnovare l’Adi dopo i primi 18 mesi. Dove sta la logica dentro tutto ciò? Quanto alla previdenza, sarebbe troppo facile infierire, come dimostra la levata di scudi scattata ieri proprio dalla Lega, partito che paradossalmente esprime il ministro dell’Economia e al contempo ne contesta le decisioni. C’è voluta comunque la responsabilità del “Governo dei patrioti” per smontare lunghissimi 14 anni di attacchi a una riforma – quella fatta dall’esecutivo Monti – che, bene o male, mise in sicurezza i conti del Paese alla luce delle tendenze del ciclo demografico. Resta piuttosto un quesito senza risposta, pure qui: se sono stati ritenuti così necessari, al punto da rinnegare promesse fatte in passato, perché tali interventi vengono cadenzati a partire dal 2032 (per il riscatto della laurea con gli effetti più pesanti, fino a perdere due anni e mezzo, addirittura dal 2035)? È un vecchio vizio della politica: trattare i cittadini con interessata condiscendenza, indicando loro un problema, ma poi procrastinando le soluzioni quanto più possibile nel tempo.
Anche sulle tasse, al di là dell’Irpef, risulta piuttosto confusa la decisione di raddoppiare la Tobin tax, tributo che – va ricordato – in questa forma non colpisce solo e primariamente gli speculatori, ma anche i risparmiatori semplici che fanno una transazione in Borsa. Come non si comprende appieno la ratio dell’ipotizzata ritenuta dell’1% su ogni pagamento tra imprese (di fatto una tassa sulla liquidità), poi compensate invece sugli altri fronti. Un capitolo a parte l’abbiamo vissuto poi sull’oro di Bankitalia, con un emendamento che non cambia nulla nella sostanza. Più che un disegno organico, insomma, par di cogliere un pot-pourri sempre più affastellato. Che ancora una volta non incide in quello che resta uno dei problemi-chiave del Paese: la riqualificazione di una spesa pubblica che non è bassa di per sé, anzi è raddoppiata negli ultimi 25 anni, e da cui si potrebbero recuperare risorse. Avendo a mente anche la lezione del Pnrr, eredità di più governi, che sta lì a spiegarci come altri 200 miliardi di spesa priva di quadro d’insieme non riescono a spingere (finora, almeno) il Pil nazionale. Tutto ciò induce ad alimentare un sospetto sullo sfondo: che quest’anno si sia fatta volutamente una manovra “bassa” per poi farne una più generosa e “ricca” fra 12 mesi, non a caso alla vigilia delle prossime elezioni.

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