Elogio del frisbee, la tortiera divenuta sport. Senza arbitri
Il Flying Disc è una disciplina di nicchia e fiera della sua diversità. Nella specialità “Ultimate” i giocatori si autogestiscono

C’è sempre un po’ di zucchero sopra alle storie più belle. Lui si chiamava William Russel Frisbie, e faceva il pasticcere. Specialità: torte di mele. Ma mai si sarebbe immaginato di essere l’origine dell’attrezzo indispensabile per uno sport che, magari in spiaggia o su un prato, più o meno tutti abbiamo praticato almeno una volta nella vita.
Qui la questione è tirare un disco volante di plastica per vedere l’effetto che fa. E che ci sono giochi da bambini che vogliamo fare per diventare grandi. Crediamo che siano il biglietto d’ingresso nel mondo. E siamo disposti a lanciare qualunque cosa pur di trovare il nostro posto, e a corrergli dietro fino a che non lo abbiamo raggiunto. C’è un filo di magia in tutto questo: la traiettoria perfetta vale un campionato.
Teolo (Padova), Centro Sportivo Euganeo di Bresseo. Profondo Nord. Provincia che respira facce pulite. Un campo fangoso con le righe segnate in terra più stretto di uno di calcio ospita le finali nazionali di uno sport di nicchia. Quelli che ne sanno tanto lo chiamano Flying Disc. Per tutti gli altri, è solo frisbee. In questo caso specialità Ultimate, categoria mixed, con due squadre a fronteggiarsi: 7 contro 7, uomini e donne insieme. Si corre, si salta, ci si butta. Soprattutto ci si diverte.
All’ignorante che capita lì per scoprire un’altra faccia dello sport occorre qualche minuto per capire. Ma poi non è difficile. L’obiettivo è quello di passarsi il disco, superare la difesa avversaria e fare meta in un’area a fondo campo ricevendo il disco al suo interno. Non ci si può muovere quando si ha in mano il piattello (brutto modo di chiamarlo, lo so, ma è per evitare un’altra ripetizione. E poi quello alla fine è), si può solo usare il piede che fa da perno e lanciare entro 10 secondi senza farlo cadere, il disco s’intende, altrimenti il possesso passa agli avversari.
Per segnare bisogna correre e smarcarsi da quelli che hanno una maglietta diversa dalla tua, ma ogni volta che il disco è in aria loro possono tentare di farlo cadere o prenderlo al volo per guadagnarne il possesso e cercare di andare in meta dall’altro lato del campo.
Il bello di tutta la faccenda è che l’arbitro non fischia mai. Anzi nemmeno si fa notare. Anzi, non c’è proprio. Strana gente, quella del Flying Disc: sono parecchio diversi, giocano senza litigare, senza fingere, e senza tentare di fregarsi a vicenda. Anche quando c’è un titolo nazionale inseguito per una stagione intera in palio. L’Ultimate poi è uno sport senza contatto e senza arbitro. Come fanno? Semplice: quando viene commesso un fallo, sono i giocatori stessi che decidono se è fallo veramente. E come gestire la situazione, e com’è meglio procedere.
Zero proteste, ci si accorda in un amen. Sembra di essere su Marte, invece è solo provincia di Padova, e in campo ci sono ragazzi che sembrano usciti dall’oratorio. Braghe della tuta e sorrisi addosso, voglia di correre, di stare insieme, di giocare un gioco antico ma diverso. Semplice, pulito. Normale. E che ha una storia curiosa alle spalle.
Riavvolgiamo il nastro. Bridgeport, Connetticut, Stati Uniti, Anni ’50 (ma qualcuno dice anche prima): gli studenti dell’Università di Yale che organizzavano feste nel fine settimana compravano i dolci dal signor William Russel Frisbie. Alla Frisbie Pie Company, che serviva le sue torte in teglie di latta rotonde. Poi si sa come vanno queste cose: un po’ l’alcol, un po’ la voglia di scherzare, fatto è che quei piatti sui quali restavano solo le briciole, alla fine se li lanciavano sui prati del campus. Dopo aver scoperto che, rovesciati, volavano bene e avevano una forma aerodinamica perfetta per disegnare belle traiettorie. Non sapevano come chiamarli, ma sopra c’era scritto Frisbie, il nome del pasticcere. Ed era naturale gridare quel nome quando dalle loro mani partivano questi dischi volanti.
Poi, come sempre accade, qualcuno fiutò l’affare. Due imprenditori, Warren Franscioni e Fred Morrison, crearono il primo prototipo di disco in plastica, che chiamarono Flyin-Saucer, sfruttando il nome che i giornali dell’epoca avevano utilizzato per un famoso caso di avvistamento di Ufo. Nel 1952 Franscioni e Morrison si separarono e Morrison si trasferì a Los Angeles: creò una nuova azienda, utilizzò una plastica più morbida e cambiò il nome del disco in Pluto Platter. Nel 1957 firmò un contratto con la ditta di giocattoli Wham-O, diventata famosa da poco per la produzione di un altro attrezzo che avrebbe fatto giocare milioni di ragazzi: l’Hula Hoop. E decise di brevettare l’attrezzo, cambiando il nome da Pluto Platter a Frisbie, che per un errore di pronuncia, fu registrato come Frisbee.
Nacque così il Flying Disc, uno sport che oggi ha cinque discipline diverse e decine di migliaia di praticanti rappresentati da 110 Federazioni, ed è riconosciuto dal Comitato Olimpico Internazionale. In Italia il Flying Disc fa parte della FIGeST, la Federazione Italiana dei giochi e sport tradizionali, affiliata al Coni: ci sono 34 tra società sportive e Associazioni che lo praticano, con circa 2.800 atleti agonistici, un terzo dei quali Junior, cioè con un’età inferiore ai 18 anni.
Per la cronaca, il campionato italiano mixed 2025 nella specialità Ultimate l’ha vinto pochi giorni fa la BFD Redshot, squadra di Bologna. Ha conquistato il tricolore nella finale di Teolo superando i CUS Padova Rangers 15-8 nella partita decisiva. Spettatori? Pochi, ma nessuno li ha contati. E nessuno ha sentito il bisogno di sapere quanti fossero. Erano il numero giusto per bastarsi, e abbastanza per sapere che potevano correre dietro a un disco volante. E continuare a sognare.
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