Il nuovo “Avatar” tra pace, ambiente e famiglia

Il terzo capitolo della saga di James Cameron, da oggi nelle sale, oltre ai temi consueti esplora anche le relazioni
December 17, 2025
Il nuovo “Avatar” tra pace, ambiente e famiglia
Sam Worthington nei panni di Jake Sully in "Avatar - Fuoco e cenere" / © 2025 20th Century Studios
Sono oltre 30 anni che il regista americano James Cameron frequenta il pianeta di Pandora, luogo virtuale dove ambientare una saga fanta-ecologica che ha cambiato per sempre la storia del cinema. Parliamo naturalmente di Avatar, il cui primo capitolo nel 2009 si è piazzato al primo posto nella classifica dei film più visti di sempre, mentre al secondo posto troviamo il sequel, Avatar – La via dell’acqua, arrivato nelle nostre sale nel 2022. Ma vale la pena sottolineare che tra i cinque film che più hanno incassato al mondo c’è un altro titolo di Cameron, Titanic, per anni rimasto in cima al podio.
Ora tocca al nuovo, attesissimo capitolo della saga, Avatar – Fuoco e cenere, distribuito da Walt Disney Company da oggi, attirare al cinema quel pubblico sempre più restio a frequentare le sale e tentare di stabilire un nuovo record al botteghino. Tra le tappe del tour promozionale intorno al mondo c’è questa volta anche Milano, che ha accolto nei giorni scorsialcuni dei protagonisti del film: Sam Worthington, Stephen Lang, Bailey Bass, Trinity Jo-Li Bliss e Jack Campion.
Nel nuovo capitolo della saga si torna dunque a Pandora, all’indomani dei tragici eventi a cui abbiamo assistito nel film precedente: Jake Sully, l’umano che ha scelto il proprio Avatar diventando dunque un Na'vi, è rimasto con la moglie Neytiri e la loro famiglia presso la tribù acquatica dei Metkayina, cercando di elaborare il lutto per la morte del loro figlio più grande, Neteyam, ma non è facile superare il dolore di una così grave perdita. Un giorno incontrano un'altra tribù Na'vi, decisamente diversa e molto più aggressiva di quelle conosciute finora: si tratta del Popolo della Cenere, abili manipolatori del fuoco, guidati da Varang, leader spietata e violenta. Sarà proprio lei ad allearsi con l'antico nemico di Jake, Quaritch, che lancia un attacco senza precedenti su Pandora, intenzionato a colonizzare il pianeta una volta per tutte, mentre la Terra sta definitivamente morendo.
La pace come bene prezioso per l’umanità intera, il rispetto per l’ambiente, per le sue risorse e per la diversità restano al centro della riflessione del 71enne Cameron, che però in quest’ultimo capitolo si concentra ancora di più sulle dinamiche famigliari. Dice Worthington, che interpreta Sully: «Avatar è cresciuto, il suo universo si è allargato e ha messo la famiglia al centro. Se il primo e il secondo capitolo avevano lo stesso Dna, questa volta la storia ha dimensioni e sfumature diverse e si parla di sopravvivenza in circostanze estreme, di amore e di legami forti, un tema che riguarda tutti. Anche noi, sulla Terra, stiamo attraversiamo una fase complessa, molto difficile, carica di incertezza, e l’amore è tutto ciò su cui possiamo davvero contare, l’unica via di salvezza. Siamo tutti connessi su questo pianeta, non importa dove siamo nati o dove viviamo».
Se dunque il primo Avatar denunciava l’avidità delle multinazionali pronti a calpestare popolazioni indigene e il secondo accendeva i riflettori sulla devastazione della foresta pluviale e degli oceani, il terzo cambia rotta. Qualche giorno fa Cameron ha dichiarato: «In Fuoco e cenere volevo spostare l’attenzione su un tema che mi sta a cuore, quello della perdita, per comprenderne il senso e le conseguenze. La scomparsa di una persona cara cambia tutto, e per sempre. Nei grandi film commerciali si ricorre alla vendetta, una grande sciocchezza, perché non è così che la gente si sente: il dolore ti paralizza, come accade a Neytiri all’inizio del film. Mi sono riproposto di essere onesto, di rappresentare l’esperienza umana in modo autentico: dietro questi grandi alieni blu c’è una vicenda che parla di famiglia e di lutti. È un film fatto da esseri umani, per gli esseri umani».
«La forza di una comunità unita e solidale, dove le donne rivestono ruoli cruciali, è un altro dei temi importanti di un film capace di dimostrare che sono più le cose che abbiamo in comune rispetto alle differenze», dicono gli attori più giovani, Bailey Bass, Trinity Jo-Li Bliss e Jack Campion, mentre Lang, divenuto uno dei grandi villain della storia del cinema, aggiunge: «L’umanità desidera ascoltare storie che illuminino il passato e il futuro e che rendano sopportabile il presente. Anche nei momenti più difficili è sempre possibile trovare una via d’uscita. Leggendo la storia di Milano, ho scoperto quanto siano stati duri anni come il 1942 e 1943, eppure anche allora è stato possibile uscire dall’ombra grazie alla speranza e all’ottimismo. Anche il mio paese, gli Usa, stanno oggi finalmente scoprendo la necessità di liberarsi dal buio del fascismo». E a proposito del suo personaggio, lo spietato Quaritch, commenta: «Il fatto di essere un grande cattivo non mi turba, perché ognuno di loro si sente l’eroe della propria storia. Per essere convincente ogni cattivo deve riuscire a farsi odiare, ma di Quaritch ho voluto capire le motivazioni, metterne il luce qualità e debolezze che creano dinamiche contraddittorie».
Tutti d'accordo poi sul fatto che l’esperienza cinematografica in sala sia insostituibile. Ancora Lang: «Ci sono film fatti apposta per essere visti al cinema, all’epoca fu così per Il mago di Oz. Film destinati a essere caposaldi della storia del cinema, e penso a Lawrence d’Arabia, 8 ½ e allo stesso Avatar. E voglio citare anche la grande Claudia Cardinale: sono stato molto felice di trovare nella mia camera d’albergo una sua foto».
Film dalla sofisticatissima e rivoluzionaria tecnologia come quelli della saga di Avatar fanno sorgere interrogativi sul mestiere dell’attore, costretto a recitare in circostanze diverse, in non-luoghi, senza punti di riferimento concreti. Così vuole la performance caption, una tecnica evoluta che registra in tempo reale non solo i movimenti del corpo, ma anche le espressioni facciali dell'attore tramite sensori sul viso, per trasferirli su un personaggio digitale, come accaduto ad esempio con il Gollum nel Signore degli Anelli. Spiega Worthington: «La tecnologia non è mai stata un ostacolo. Agli attori viene chiesto di essere veri e tutto quello che vedete sullo schermo arriva successivamente, in fase di post produzione. Sui set tradizionali ci si distrae spesso, si corre contro il tempo, bisogna tenere continuamente conto di luci e telecamere, mentre questa tecnologia trasforma la performance in qualcosa di molto intimo e puro, dando la possibilità a ogni attore di esplorare più in profondità le proprie emozioni».

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