Una logica preventiva. E una pace duratura per Kiev
Lo sforzo diplomatico è in atto con decisione e i molti fili della trattativa potrebbero trovare un modo di convergere senza annodarsi nei grovigli di rivendicazioni che hanno finora impedito di arrivare al cessate il fuoco

Le guerre finiscono. Sempre troppo tardi, ma finiscono, o si trasformano. L’invasione dell’Ucraina da parte russa risale al 24 febbraio 2022, quasi quattro anni di furiosi e brutali combattimenti, con i civili spesso nel mirino. Le prime ostilità nel Donbass e in Crimea risalgono tuttavia al 2014. Oggi, nelle parole del presidente Volodymyr Zelensky, siamo nel momento più vicino a un accordo complessivo per mettere fine al conflitto. Sembra ancora più un auspicio che una constatazione. Lo sforzo diplomatico è però in atto con decisione e i molti fili della trattativa potrebbero trovare un modo di convergere senza annodarsi nei grovigli di rivendicazioni che hanno finora impedito di arrivare al cessate il fuoco.
Mosca continua a colpire senza sosta per mettere al gelo la popolazione e dare l’impressione alle opinioni pubbliche occidentali che i combattimenti volgano inevitabilmente a proprio favore. Non è così, sebbene l’inerzia sia di certo passata dalla parte dell’aggressore. Nessuno a Kiev si illude più che sia possibile un’ulteriore offensiva di primavera per riconquistare territori, soprattutto senza la volontà americana di sostenere più a lungo lo sforzo bellico. Quello che l’Ucraina ormai chiede è una pace che sia duratura e permetta una rinascita in autonomia di un Paese sì “mutilato”, eppure non sotto schiaffo continuo della Russia.
È questa la partita in corso e lo scioglimento di questo nodo decisivo potrà aprire la strada alla tregua e all’implementazione di un accordo comunque difficile e precario. Il governo di Kiev ha guidato un’eroica difesa con un occhio lungimirante anche al futuro, ben sapendo che le guerre finiscono e che chi rimane dissanguato è destinato a morire anche se le armi tacciono. Così si spiega perché sia rimasta sempre un’ipotesi la mobilitazione generale, compresa la chiamata alle armi di tutti i maggiorenni, che avrebbe compromesso demografia e decenni a venire di una nazione che ha perso – si spera provvisoriamente – milioni di sfollati oltre confine. E così si comprende la volontà di mantenere una collaborazione con gli Stati Uniti, sopportando i cambi repentini di linea da parte del più che volubile Donald Trump, gli schiaffi pubblici e le imposizioni di contratti per lo sfruttamento delle risorse interne.
Zelensky, indebolito anche dagli scandali di corruzione nel suo entourage, non può consegnare formalmente a Vladimir Putin zone ancora in pieno controllo ucraino, ma sa che perdendo il pieno appoggio militare della coalizione che finora l’ha sostenuto, può mirare a un unico obiettivo: mettere in sicurezza l’80% del Paese che sta guidando. E un’Ucraina sicura è un’Ucraina ammessa nella Ue, dotata di un proprio esercito ben equipaggiato, garantita dalla deterrenza americana ed europea. Per questo bisogna ancora fare la faccia feroce con il Cremlino mentre si negozia la pace. Se non può essere “giusta” ora, perché la Casa Bianca (e anche l’Europa) hanno rinunciato a pretendere che sia tale abbandonando la via militare, che la pace sia almeno duratura. Duratura significa che non si creino le condizioni per un colpo di mano o una ripresa degli attacchi da parte russa. Un protettorato di fatto comandato a distanza sarebbe ciò che Mosca vuole, nemmeno questa può essere la pace, certo duratura, che si deve ottenere.
È vero che la gente non scende in piazza per Kiev e, anzi, sembra diventato un fastidio l’appoggio a chi lotta per la libertà, il diritto internazionale e, in definitiva, anche per la nostra sicurezza. Ma rassegnarsi al fatto compiuto (e dire che né Napoleone né Hitler hanno sconfitto la Russia e, dunque, non ha senso provarci ora ottenendo il plauso di Mosca) costituisce un atto di cinismo e un pessimo servizio ai nostri stessi connazionali. Interrompere la carneficina al fronte e le sofferenze della popolazione è l’obiettivo che tutti sarebbero chiamati a favorire, non nei termini di una resa incondizionata bensì di una soluzione umanitaria sostenibile politicamente e militarmente. Il Cremlino non paga riparazioni di guerra? La Ue incameri i suoi beni congelati e giriamoli all’Ucraina senza esitazione. Si moduli l’allentamento delle sanzioni, sapendo che l’economia russa non è in buona salute – inflazione all'8%, tassi di interesse al 16%, crescita rallentata, deficit di bilancio in forte aumento, redditi reali in calo, imposte sui consumi in salita. Così potremo tenere sotto pressione uno Stato che, seppure firmerà un cessate il fuoco, non può essere considerato affidabile nelle sue promesse. La diplomazia della pace deve salvare vite e dignità delle persone oggi, ma anche domani. Lo sanno gli ucraini che siedono al tavolo e sono pronti a fare concessioni, dovremmo ricordarlo tutti, per potere davvero avere motivi di salutare una tregua e cominciare a curare le ferite di un conflitto in cui torti e ragioni non sono equamente distribuiti.
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