Una luce condivisa oltre l'odio: sentinelle nella notte

Nel giorno del rinnovato dolore per una strage di innocenti, come accaduto domenica in Australia, occorre che una torcia sia accesa nelle tenebre sparse dal fanatismo
December 16, 2025
Una luce condivisa oltre l'odio: sentinelle nella notte
/Foto Icp
«Dio disse: sia la luce. E la luce fu». Prima creatura, la luce «era cosa bella», il fiore del primo giorno, l’alba del creato (Gen 1,3). Ella fu condizione perché tutte le altre creature si distinguessero, venissero, per l’appunto, “alla luce”. Simbolo della vita che viene da Dio, che è Dio. «Dolce è la luce e bello è per gli occhi vedere il sole» deve ammettere pure quel nichilista del Qòelet (11,7-8). Che poi raccomanda di procurarsi una luce morale che va oltre quella esteriore sulla cui scia si muovano i passi dell’uomo saggio: «Il saggio ha gli occhi di fronte ma lo stolto cammina nel buio» (Qo 2,14). Lo stolto è privo della giustizia e del diritto, della carità e della sapienza. La Sapienza è la luce del cuore: «Dio non ama se non chi vive con la sapienza. Ella in realtà è più radiosa del sole e supera ogni costellazione» (Sap 7,28-29).
A un popolo scacciato dalla terra e ridotto in schiavitù il profeta prospetta la liberazione: «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse» (Is 9,1-2). Messaggio diretto a tutti quei poveretti ridotti a sopravvivere al buio, oppressi da ogni macchina di guerra. E da ogni tipo di tenebra. Per loro, in una grotta aperta sui pascoli di Betlemme, illuminata solo dalle stelle, viene al mondo un bambino, Verbo di Dio che si fa carne: «Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio (...) il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Principe della pace» (Is 9,5). Sapienza divina “generata” che il Credo di Nicea chiama «luce da luce, Dio vero da Dio vero». La sua luce si irradia a partire dall’intimo della sua Sapienza e giunge a risvegliare il mondo. Poiché è dall’interno del bicchiere che vengono le opere malvage (cf. Mt 23,26). «Io sono la luce del mondo», dice Gesù (Gv 8,12). Per questo portarono a lui un cieco nato e gli chiesero: «Chi ha peccato? Lui o i suoi genitori per esser nato cieco?»(Gv 9,2). Era scritto, infatti, che Dio avrebbe punito il peccato per tre o quattro generazioni, i delitti dei padri e dei nonni nei figli, nei nipoti e nei pronipoti: nelle creature innocenti (cf. Es 34,7).
Ma essendo – le Scritture – parole di Dio in parole umane (Dei Verbum), esse si fanno a ogni pagina più lucide, al punto che, invece – così dice il profeta Ezechiele – «giudicherò ciascuno di voi secondo la sua condotta, o casa d’Israele» (33,20). Nessuno deve pagare per il delitto di un altro, foss’anche un padre o un fratello o uno del suo stesso popolo. Poiché – dice ancora la Scrittura – «il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato» (Es 34,6-7). Non la vendetta ma il perdono è ciò che mai deve interrompersi. Gesù si pone come luce di Dio e dice a proposito del cieco nato: «Né lui ha peccato, né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio» (Gv 9,3). Le opere del Signore sono quelle di riparare alle tenebre, di fugare le ombre e non di fare sciacallaggio sui motivi che le hanno create – in specie quando si tratta di tenebre morali – per procedere a ulteriori condanne e moltiplicare l’oscurità. Lo diceva già il profeta Ezechiele: «O figlio dell'uomo, io ti ho posto come sentinella per la casa d'Israele (...). Se io dico al malvagio: “Malvagio, tu morirai”, e tu non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te (...) Com'è vero che io vivo – oracolo del Signore Dio –, io non godo della morte del malvagio, ma che il malvagio si converta dalla sua malvagità e viva. Convertitevi dalla vostra condotta perversa» (33, 7-8).
Il senso di questa profezia è che nessuno si salva da solo, come diceva papa Francesco. Un legame indispensabile tra tutti, dove «la posta in gioco non è semplicemente la continuazione vitale di un dialogo, bensì l’acquisizione della coscienza» secondo quanto Carlo Maria Martini affermava in riferimento al rapporto tra cristiani ed ebrei citato nel messaggio della Commissione episcopale per l’Ecumenismo e il Dialogo pubblicato ieri dalla Cei. Nel giorno del rinnovato dolore per una strage di innocenti, come accaduto domenica in Australia, occorre che una torcia sia accesa nelle tenebre sparse dal fanatismo, dalle propagande, dalle false teorie promosse dalle dicerie dei giorni nostri fabbricate nell’infosfera e tese a ottenebrare le menti e i sentimenti. Quella torcia è, appunto, la coscienza che tutti possiedono e con cui tutti dovrebbero avere tempo e silenzio per dialogare. La morte del padre – la morte di Dio –, dice Luigi Zoja, ha portato degli orfani a far guerra senza fine tra loro. Ha portato alla morte anche del prossimo, chiunque esso sia. Fortunatamente – dice Paolo nella Lettera ai Romani – anche coloro che non hanno la luce di una religione rivelata, possono però, trovare Dio nella propria coscienza. E con esso possono ritrovare il prossimo, il proprio simile, la sorella e il fratello, il nemico divenuto amico.
Una torcia – quella della coscienza – che in Occidente sembra languire nel precipizio di un nichilismo assoluto. Sta a noi riaccendere un firmamento di luci fatto di fede, di speranza e di pace e fare in modo che mai si arrenda alle tenebre di un’umanità orfana e malata. Poiché «la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta» (Gv 1,5).

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