Il Giappone ha scoperto che la pace non è più così scontata
Tokyo è alla ricerca di un nuovo equilibrio nel contesto geopolitico internazionale. La premier Takaichi di fronte alle nuove tensioni con la Cina su Taiwan

Dopo anni, sono tornato in Giappone. Il paese mantiene la sua forte identità e resta prospero, ma, come l’Italia, scopre che la pace non è più scontata e deve assumersi la responsabilità di preservare sicurezza e stile di vita. Il Giappone è più vicino, non solo perché il mondo è più interconnesso, ma anche perché i teatri di crisi sono tra loro collegati. Sarà l’Estremo Oriente il nuovo frammento della guerra mondiale a pezzi preconizzata da Papa Francesco nel 2014? Quella che sembrava la metafora di un mondo più insicuro è la descrizione di una realtà che potrebbe aggravarsi. Non possiamo considerare separatamente i tre grandi teatri di crisi: quello europeo (con l’aggressione russa all’Ucraina), quello mediorientale (con un grappolo di conflitti tra loro collegati) e quello dell’Asia orientale. In questa regione non c’è una guerra aperta, come quella scatenata da Putin, né i conflitti del Medio Oriente, ma tensioni che riguardano la penisola coreana, lo Stretto di Taiwan ed il Mare della Cina Meridionale. I teatri strategici sono collegati: l’Iran e la Corea del Nord sostengono la Russia, se Putin prevale i paesi che stanno alla finestra e la Cina trarranno le conseguenze.
In questo clima si inserisce l’arrivo alla guida del governo giapponese di Sanae Takaichi. Ancora un rappresentante del Partito Liberaldemocratico, quasi ininterrottamente al potere nel dopoguerra, ma per la prima volta una donna. Takaichi intende seguire lo stile determinato del suo mentore Shinzo Abe, il Primo Ministro assassinato nel 2022. In un paese che ha spesso privilegiato politici opachi Takaichi è assertiva, era inevitabile che finisse per scontrarsi con la volontà di Xi di proporre la Cina come potenza egemone nella regione. A cosa porterà il nuovo aspro confronto tra Giappone e Cina? Questo tema ha caratterizzato gli incontri che ho avuto a Tokyo. Tutto parte dalla dichiarazione di Takaichi che l’uso della forza da parte di Pechino per alterare lo status quo dell’isola di Taiwan rappresenterebbe una grave minaccia per la sicurezza del Giappone. In Cina le reazioni sono state molto energiche perché tale posizione è considerata un’interferenza nella propria politica interna, violando quindi il diritto di Pechino di determinare il futuro di Taiwan. D’altra parte, nella tanto discussa nuova Strategia di Sicurezza Nazionale americana non sono state dette cose molto diverse. Il documento sottolinea l’importanza cruciale di Taiwan nell’Indo-Pacifico a sua volta considerato il teatro principale nella visione geostrategica americana: «Dissuadere un conflitto su Taiwan è una priorità» e «gli Stati Uniti non sostengono alcun cambiamento unilaterale dello status quo nello Stretto di Taiwan». Washington e Tokyo riaffermano il principio di una sola Cina: no all’indipendenza di Taiwan, ma nessun via libera a un’azione militare cinese per cambiare lo status quo.
Gli esperti giapponesi ritengono che né a Tokyo né a Pechino convenga aggravare la crisi. D’altra parte, l’atteggiamento giudicato minaccioso di aerei militari cinesi nei cieli vicini ad Okinawa sembra indicare un diverso orientamento cinese che si accompagna alla determinazione di Takaichi di non ritrattare le proprie dichiarazioni. C’è chi afferma che la riunificazione forzata dell’isola con la Cina sarebbe come una pistola alla tempia del Giappone, ciò ancora di più alla luce di recenti (e piuttosto inedite) affermazioni cinesi che mettono in dubbio la legittimità storica della sovranità nipponica sulla catena di isole che arriva fino ad Okinawa. Si teme insomma un effetto domino. Takaichi si espone ad un rischio: un arretramento verrebbe letto come debolezza, smentendo la caratteristica che la rende diversa da altri leader giapponesi, mentre un irrigidimento rischierebbe situazioni imprevedibili. Takaichi, per ora, è premiata dall’opinione pubblica: il suo gradimento è al 75%. Da parte di Pechino c’è forse la volontà di spostare i paletti, di creare una nuova normalità rispetto a cosa possano dire i leader stranieri e cosa possano fare quelli cinesi. Da parte giapponese si intendono respingere i tentativi di intimidazione: fare marcia indietro vorrebbe dire accettare gli “equilibri più avanzati” imposti da parte cinese. D’altra parte, la Cina non può cedere avendo posto una questione di principio irrinunciabile. Ciascuna delle due parti deve tenere il punto e ciò crea tensioni.
Occorre dunque ricucire, trovando l’equilibrio che consenta alle parti di non perdere la faccia. L’atteggiamento giapponese potrebbe quindi essere quello di mantenere la calma e tirare avanti, evitando rotture in un rapporto troppo importante, anche dal punto di vista economico. Si guarda però all’atteggiamento di Trump anche rispetto all’Ucraina e si teme che un accordo percepito come un successo russo (la percezione conta più dalla realtà) possa incoraggiare Cina e Corea del Nord ad atteggiamenti avventuristici. In tale contesto, il Giappone si guarda intorno: l’alleanza con gli Stati Uniti rimane cruciale ma è caratterizzata dall’incertezza, per Takaichi torna allora importante, sia in chiave economica che di sicurezza, il concetto di “Indo-Pacifico libero ed aperto” lanciato da Abe. Questo vuol dire il rapporto con i vicini e, soprattutto, con l’India, il gigante asiatico che cresce più della Cina. Il Giappone, come l’Italia, è un paese marittimo che vive di scambi economici (ricordiamoci che circa il 90% del commercio internazionale viaggia per mare) e condivide con noi l’interesse a sviluppare la connettività in un mondo caratterizzato dall’interdipendenza ma nel quale dobbiamo essere meno condizionati. Ecco, quindi, l’attenzione per la prospettiva di IMEC, il corridoio di connettività tra India, Medio Oriente ed Europa (con Trieste come snodo) e l’attenzione per una nuova visione di Indo-Mediterraneo che si agganci a quella con cui Abe lanciò l’idea di Indo-Pacifico. Per Tokyo IMEC quale rete tra Asia, Europa ed Africa è complementare ad interessi comuni anche in termini di catene di approvvigionamento, si pensi alla necessità di svincolarci dal condizionamento cinese sulle terre rare. Ho notato come questo si agganci all’impostazione italiana del Piano Mattei che assegna priorità ad un dialogo paritario con l’Africa e mi è stato ricordato che Abe lanciò la sua visione proprio in un discorso in Kenya nel 2016. Questo Giappone attende quindi la visita del Presidente del Consiglio italiano in gennaio mentre la foto dell’abbraccio caloroso tra Takaichi e Meloni al G20 in Sud Africa è virale nei social media nipponici.
D’altra parte, guardando la sfilza di negozi di lusso di Tokyo non si percepisce un’aria di crisi. Il Giappone non domina più le classifiche economiche globali ma mantiene un elevato tenore di vita. I giapponesi consumano e lo fanno anche i sempre più numerosi turisti stranieri (molti italiani) i quali scoprono che il Giappone, complice la svalutazione dello yen, è un paese per tutte le tasche. Si mangia un sushi favoloso con circa 200 euro ma anche un’ottima cena con 20. Diminuiscono i turisti cinesi (Pechino adesso scoraggia i viaggi in Giappone) ma si vedono ancora per le strade di Kyoto tante ragazze in kimono per poi scoprire che sono cinesi vestite così per farsi le foto tra i templi e gli aceri rossi dell’autunno. Il servizio, sia quello privato nei negozi che quello pubblico in treno, è sacro: a Tokyo la rete della metropolitana è capillare, efficiente e pulitissima, le principali città sono collegate dagli Shinkansen con la cadenza di un treno ogni dieci minuti. Quando il personale del treno entra o esce dalla carrozza si gira verso i passeggeri e li saluta con un inchino. Una formalità, ma contribuisce alla qualità dei rapporti sociali. C’è poi la sicurezza nella vita quotidiana: nell’Apple Store di Tokyo gli iPhone esposti non sono attaccati al bancone. Del resto, Tokyo è fatta di villaggi, non c’è il traffico impazzito e nei quartieri a lato dei grandi viali ci sono stradine dove si cammina tra negozi di ogni tipo e casette costruite in un piacevole disordine. Sopravvivono anche aspetti un po’ arretrati: si usa ancora molto il contante gentilmente posto su un vassoietto alla cassa.
In Giappone praticità e poesia si intrecciano. Ma prima di tutto le regole. Entro in uno straordinario museo di arte contemporanea nella piccola isola di Teshima: niente fotografie, silenzio, non toccare, visite prenotate per piccoli gruppi. Poi (grazie alle regole) la poesia: seminterrato, cemento armato ed una cupola con aperture verso il cielo dove due falchi volteggiano e il cinguettio degli uccelli nel bosco di verde intenso. Ciò che i giapponesi amano: una natura che si gode in purezza ma grazie alle regole. Gli elementi: il vento, il sole che penetra e gocce d’acqua che muovendosi compongono l’opera d’arte. È il Giappone minimalista coerente con l’antico animismo scintoista. Un Giappone apparentemente lontano ma necessariamente a noi vicino.
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