Avvento, c’è bisogno di respiro. Anche per la democrazia
La pressione per il consenso e la decisione tende a comprimere tempo, confronto, dissenso, verifiche, procedure, che rischiano di sembrare residui di un passato lento. Invece sono proprio questi “tempi morti” – riabilitati dall’impegno dell’attesa verso il Natale – a far vivere un sistema democratico

Il tempo dell’Avvento è, per sua natura, un tempo controcorrente. Non celebra la velocità, ma l’attesa; non l’immediatezza, ma la profondità; non la prestazione, ma la presenza. Lo abbiamo affermato la settimana precedente: è il tempo dello “zero virgola”, quello scarto minuscolo che separa il “già” dal “non ancora”.
Ed è proprio questo tempo, fragile e fecondo, che oggi rischiamo di perdere. Anche le implicazioni sociali sono fortissime e rischiose se il tempo è vissuto come perdita, come inefficienza, come costo. Perché allora il tempo che non produce è tempo sprecato. Il tempo che non decide è tempo morto. Il tempo che non accelera è tempo inutile.
Questa logica, che appartiene al digitale e al mercato, sta però entrando, oltreché in ciascuno di noi, anche nel tessuto sociale, nei sistemi politici, corrodendoli dall’interno. È la stessa febbre che, in nome della rapidità, spinge a snellire, ridurre, “semplificare”. Ma accelerare eccessivamente i processi democratici, semplificare oltremodo la democrazia significa amputarla: togliere pesi e contrappesi, aggirare procedure che garantiscono partecipazione, limitare gli spazi del conflitto politico che sono l’anima della vita civile.
Non è la prima volta che accade. Pur non essendo uno storico, mi pare che già il connubio Rattazzi–Cavour, nato per dare maggioranze stabili e decisioni veloci, introdusse un principio pericoloso: l’idea che il dibattito fosse un ostacolo, una formalità da superare. Invece di rafforzare il Parlamento, lo rese un luogo più docile, modulabile, meno capace di opporsi. Si normalizzò così una rappresentanza senza vera dialettica, addomesticata dagli accordi di vertice. Successivamente il trasformismo di depretisiana memoria affermò una prassi che, certo, non generò da sola il fascismo, ma ne preparò il terreno. Abituò il Paese a un potere che decideva dall’alto, a un Parlamento che ratificava più che discutere, a un’opinione pubblica spettatrice. Così, quando la crisi del Primo dopoguerra esplose, l’idea che la democrazia fosse inefficiente era già stata interiorizzata. Il fascismo non fece che portare alle estreme conseguenze una deriva che aveva radici lontane.
Oggi il rischio si ripropone in forme nuove. Il culto della decisione rapida, dell’“adesso o mai più”, della governabilità a tutti i costi, dell’”uomo solo al comando”, può diventare l’alibi per svuotare gli spazi della partecipazione democratica. Come se tempo, confronto, dissenso, verifiche, procedure fossero orpelli inutili, residui di un passato lento.
E invece sono proprio anche questi “tempi morti” a far vivere la democrazia: sono essi a impedire che il potere si concentri troppo in fretta, che l’opposizione diventi un fastidio, che il pluralismo venga archiviato come inefficienza.
L’Avvento esprime la sua profezia anche qui: ricorda che la trasformazione non avviene nella velocità, ma nella qualità del tempo che custodiamo. La democrazia, squisito fenomeno umano, ha bisogno di pause, di controlli, di passaggi che sembrano rallentare ma in realtà proteggono. Permette che l’esercizio di cittadinanza sia espresso da tutti, ha bisogno di conflitti non cancellati, ma trasformati. In altre parole, ha bisogno di quello zero virgola: lo spazio minimo ma decisivo che impedisce alla fretta di diventare dominio.
Se lo eliminiamo, la democrazia diventa un algoritmo che decide al posto nostro. Se lo difendiamo, resta una casa abitabile, capace di ascoltare le differenze, di accogliere il pluralismo, di proteggere le fragilità. Per questo, oggi più che mai, occorre dire che il tempo non è un nemico della democrazia, ma ne è il respiro.
Ed è proprio in quel respiro, minuscolo e potente, che la civiltà democratica continua a nascere, debitrice anche al messaggio dell’Avvento.
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