giovedì 5 agosto 2021
«Sono complici della violenza». Oltre 1.300 pistole ogni giorno passano il confine per finire nelle mani dei narcos
L'arresto del boss Santiago Mesa Flores a Tijuana

L'arresto del boss Santiago Mesa Flores a Tijuana - Ansa

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Miroslawa Breach, aspettava il figlio all’uscita della scuola di Chihuahua quando quando i proiettili l’hanno raggiunta, uccidendo, il 23 marzo 2017, una delle firme di punta del quotidiano La Jornada sulla questione criminalità. A esplodere la raffica, secondo le autorità, una Colt calibro 38 con inciso il volto dell’eroe messicano Emiliano Zapata e il suo motto: «Meglio morire in piedi che vivere tutta la vita in ginocchio». Questo dettaglio avrebbe contribuito a rendere la pistola, di fabbricazione statunitense, tra le preferite dell’uomo condannato per il delitto: Juan Carlos Moreno Ochoa, alias El Larry, sicario della mafia di Sinaloa . Come è finita nelle sue mani? In modo illecito. Fatto abbastanza comune: almeno il 70 per cento delle armi sequestrate tra il 2014 e il 2018 in Messico viene trafficata dall’altro lato del confine. In media, oltre 1.300 di queste, ogni giorno, filtrano attraverso la frontiera. Nemmeno il blocco per la pandemia ha frenato il business. Tanto che, più volte, gli attivisti hanno sottolineato come la frontiera sia chiusa solo per i migranti, costretti a prendere le vie più pericolose, come ha dimostrato l’ennesimo incidente di ieri in cui sono morti in undici.

Una simile «inondazione mortale» è il risultato «prevedibile delle azione e delle strategie commerciali deliberate» delle imprese produttrici, si legge nella denuncia di 139 pagine presentata dal governo di Andrés Manuel López Obrador a un tribunale federale di Boston. Tra le prove citate di tale intenzionalità, proprio la Colt con l’effigie di Zapata: un modo per “strizzare l’occhio” agli acquirenti del Paese vicino. In particolare, boss e affiliati dei potenti cartelli della droga, “affamati” di piombo. Le leggi nazionali impongono forti vincoli ai compratori. Più facile rifornirsi in una delle 20mila armerie disseminate appena al di là della frontiera, utilizzando come “testa di ponte” cittadini Usa a cui è consentito far compere senza restrizioni. Inclusi i fucili d’assalto, liberalizzati dal 2004. «Da allora, i fabbricanti hanno aumentato enormemente la produzione, pur sapendo di favorire la criminalità organizzata», si legge. Risultato: da quell’anno la violenza in Messico ha cominciato a crescere, fino agli assurdi livelli attuali, per totale di oltre 350mila vittime. Nel mirino undici colossi Usa, anche se, in base al dossier, le principali responsabili sarebbero Smith&Wesson, Beretta Usa, Century Arms, Colt, Glock e Ruger. Dal disegno alle finiture, queste cercherebbero di andare incontro ai gusti dei narcos, per cui determinati modelli – come l’Ak-47 e l’Ar-15 – sarebbero ormai un simbolo di status. Pertanto, le armi made in Usa «sono intimamente legate alla violenza del Messico odierno», ha affermato il ministro degli Esteri, Marcelo Ebrard, artefice della denuncia, costruita in due anni di studi. Un evento inedito: è la prima volta che un governo straniero cerca di trascinare i grandi armatori di Washington sul banco degli imputati. E, secondo gli esperti, non sarà così facile riuscirci e ancor più arrivare a una sentenza favorevole che potrebbe comportare un indennizzo miliardario per i condannati: anche se non vi è una richiesta di indennizzo, la violenza, in base alle stime, costa allo Stato messicano circa 10 miliardi di dollari.

La normativa federale Usa garantisce un’ampia immunità ai produttori di armi nei confronti delle richieste delle vittime della violenza. Di certo, però, la mossa contribuisce a rinnovare la polemica sulle “pistole libere” negli Stati Uniti. Ebrard, in particolare, ha ribadito che la denuncia non mette in discussione il “diritto alle armi” assicurato dal secondo emendamento. E López Obrador ha precisato: «Non è un’interferenza» «è un procedimento civile perché il loro mancato controllo ci penalizza». È evidente, però, che le due questioni sono in qualche modo legate. La Casa Bianca, per ora, ha mantenuto il riserbo. A tuonare contro la richiesta, l’associazione delle industrie di armi da fuoco, National shooting sports foundation: «Il Messico è l’unico responsabile di far rispettare le sue leggi».



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