sabato 16 marzo 2024
Nella città del Lancashire, in profonda recessione, i morti per suicidio, alcolismo e tossicodipendenza sono 83,8 ogni 100mila abitanti: sei volte quello di Londra
La Blackpool tower, simbolo della contea

La Blackpool tower, simbolo della contea - Ansa

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Si dice che Blackpool sia stata la prima località balneare del mondo moderno. È qui che, a fine Settecento, sarebbe nata la moda della vacanza al mare. Di questa città del Lancashire, oggi, si parla in ben altri termini: è la capitale britannica delle cosiddette «morti per disperazione».
Il concetto dei decessi causati dall’angoscia non è letterario ma squisitamente scientifico. È un tema della ricerca sociodemografica affrontato per la prima volta in modo sistematico nel 2015 da due economisti americani, Anne Case e Angus Deaton, autori di “Morti di disperazione e il futuro del capitalismo”. In questa nicchia della discussione accademica la disperazione non viene considerata come un sentimento ma come una malattia diagnosticata alla presenza di tre fattori: suicidio, alcolismo e tossicodipendenza. Secondo uno studio dell’Università di Manchester, realizzata in collaborazione con l’Istituto nazionale per la ricerca sulla salute, i decessi riconducibili a questo male nel triennio 2019-2021 sono stati 46.200 in totale (42 al giorno). Ma è a Blackpool che c’è stata la strage. Se a Barnet, quartiere a Londra nord, ne sono stati contati 14,5 ogni 100mila, nella città costiera il tasso è arrivato a quota 83,8. Sei volte più alto. A questi numeri si avvicinano anche altre comunità dell’Inghilterra settentrionale come Hartlepool, Blackburn e Middlesbrough.
La parola povertà non è menzionata neppure una volta nella ricerca che parla invece di persone «lasciate indietro» attribuendo l’origine della malattia alla disuguaglianza nell’accesso ai servizi sanitari e, più in generale, alle opportunità di vita e lavoro offerte in altre realtà. «Il Regno Unito è un Paese ricco, ma anche un piuttosto ingiusto. Le nostre risorse non sono equamente distribuite», ha commentato Christine Camacho, una degli autori della ricerca. Anche gli americani Case e Deaton avevano escluso la miseria dalle cause della disperazione statunitense che, scrivevano nel 2015, era piuttosto il risultato «dell’erosione delle strutture sociali tradizionali come sindacati, Chiesa e matrimonio».
Il Nord dell’Inghilterra è, notoriamente, la zona più depressa del Regno Unito che, a ricordarlo è un passaggio dei ricercatori di Manchester, paga ancora lo scotto della deindustrializzazione. Nel 1993, questo è solo un esempio, quasi il 30 per cento delle famiglie di Blackpool non disponeva ancora del riscaldamento centralizzato. La tristezza della città che, per anni, ha fatto da cornice alle vacanze dei borghesi inglesi è stata persino cantata e cinematografata. Raccontata dai londinesi, oggi, è una piccola Beirut i cui si vedono bambini camminare a piedi nudi per le strade maleodoranti aggirandosi tra i tossicodipendenti. I governi che si sono succeduti hanno invano cercato di farla tornare a sorridere.
È fallito pure il progetto che, vent’anni fa, prevedeva la costruzione di un super casinò modello Las Vegas all’ombra della torre di ferro del 1894. Il ministero della Salute ha commentato l’esito della ricerca ricordando gli sforzi fatti per prevenire i suicidi e prevenire gli abusi di droga e alcol. L’obiettivo, dicono, è colmare il divario tra Nord e Sud. Tra ricchi e, chiamiamoli con il proprio nome, poveri.

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