venerdì 12 gennaio 2024
Favorito nella corsa di sabato per la presidenza è Lai Ching-te, il candidato progressista che Pechino ha definito «un piantagrane». Potrebbero essere decisivi i giovani
Da sinistra: Lai Ching-te, attuale vicepresidente in corsa per il Partito democratico progressista e favorito nei sondaggi, e Hou Yu-ih del Kuomintang, assertore di un maggiore avvicinamento a Pechino

Da sinistra: Lai Ching-te, attuale vicepresidente in corsa per il Partito democratico progressista e favorito nei sondaggi, e Hou Yu-ih del Kuomintang, assertore di un maggiore avvicinamento a Pechino - Foto Ansa e Reuters

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Continuità o strappo? Gli oltre 19,54 milioni di cittadini taiwanesi che sabato si recheranno alle urne per eleggere il nuovo presidente (e il nuovo Parlamento) sono chiamati, in realtà, a risolvere una sorta di rebus geopolitico. Taiwan opterà per la gelosa e irriducibile affermazione della propria singolarità, con l’inevitabile conseguenza di “irritare” Pechino, alimentando un clima già surriscaldato negli ultimi 4 anni? Oppure l’“isola ribelle” sceglierà una linea più morbida, “arrendendosi” alle pressioni dell’ingombrante vicino cinese, che non ha mai smesso di “martellare” – il presidente Xi Jinping lo ha fatto l’ultima volta durante il tradizionale discorso di capodanno – con la convinzione che «la Cina sarà sicuramente riunificata a Taiwan»?

Chiunque vincerà – se l’attuale vicepresidente, Lai Ching-te che corre per il Partito democratico progressista e che Pechino ha più volte definito un «piantagrane» o gli sfidanti Hou Yu-ih (Kuomintang) e Ko Wen-je (Partito popolare), assertori di un maggiore avvicinamento a Pechino – dovrà dedicarsi a un complicato esercizio di equilibrismo politico. Tutti e i tre i candidati hanno assicurato che si impegneranno a mantenere lo “status quo” di Taiwan, ma con una diversità di accenti. Le sempre più minacciosi esercitazioni militari cinesi al largo dello Stretto sembrano imporre cautela. Quanto il clima sia “elettrico” lo conferma l’ultimo incidente: l’errato allarme aereo diramato dalle autorità di Taiwan quando un satellite cinese ha sorvolato lo Stretto ad una altitudine di 500 chilometri, scatenando l’ennesima tempesta politica. Satellite che nell’errata traduzione del dispaccio è diventato «missile». Taipei si è scusata ma nel frattempo c’è chi ha tuonato per l’ennesimo caso di interferenza da parte di Pechino, mentre l'Ufficio cinese per gli affari di Taiwan ha dichiarato che il lancio del satellite è un appuntamento annuale e dunque non aveva «nulla a che fare con le elezioni di Taiwan».

E se non bastasse, la Cina ha ribadito che «non scenderà mai a compromessi o non farà mai marcia indietro sulla questione di Taiwan». A dirlo la delegazione militare di Pechino alla controparte Usa nei colloqui avuti al Pentagono lunedì e martedì, durante la prima visita a Washington del suo genere in quattro anni. La delegazione ha «esortato gli Stati Uniti a smettere di armare Taiwan».

Chi è dato per favorito nella corsa presidenziale? La legge di Taiwan impone che non siano pubblicati sondaggi nei 10 giorni precedenti le elezioni. Nelle ultime rilevazioni diffuse, Lai Ching-te era in vantaggio con il 36% delle preferenze, seguito da Hou Yu-ih (31%) e Ko Wen-je (24%). Secondo quanto riposta il sito Asia Times, alla vigilia del voto, quasi la metà degli elettori taiwanesi ha dichiarato di preferire l'indipendenza (48,9%), mentre il 26,9% ha chiesto la continuazione dello status quo. Una minoranza in calo – l'11,8% – ha dichiarato di sperare nella futura riunificazione. Secondo la Cnn, sarebbero soprattutto «le giovani generazioni a sentirsi, in modo schiacciante, come unicamente taiwanesi».

A inquietare gli elettori non è però solo il braccio di ferro con Pechino. Ma anche lo stato di salute dell’economia di una nazione che invecchia rapidamente. I due “dossier” sono, in realtà, profondamente intrecciati. E uno condiziona inevitabilmente l’altro. La crescita del Pil di Taiwan, infiacchita dalla debole domanda globale ma anche dalle turbolenze geopolitiche, si è “fermata” a più 1,7% nel 2023, in calo rispetto al 2,6% dell’anno precedente e al 6,6% nel 2021. Soffre il modello basato sulle esportazioni: come riportato dal Taipei Times, le esportazioni nel 2023 sono diminuite del 9,8% a 432 miliardi di dollari. La Cina continua a essere la principale destinazione dei flussi di Taiwan, ma il valore è sceso del 18,1% rispetto all'anno precedente.

Il modello di sviluppo di Taiwan, sagomato sull’esportazione di beni intermedi verso la Cina per l’assemblaggio finale, sta insomma rapidamente cambiando. Una svolta che le urne, probabilmente, non ignoreranno.

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