sabato 24 settembre 2022
Mosca ha bisogno di militari da mandare a combattere nel tritacarne ucraino ma «nessuno vuole morire, soprattutto per scopi bellici che restano oscuri». Una storia tra tante
Russi in auto in coda alla frontiera con la Finlandia. In molti tentano di lasciare la Russia per non finire sotto le armi e non essere inviati a combattere in Ucraina

Russi in auto in coda alla frontiera con la Finlandia. In molti tentano di lasciare la Russia per non finire sotto le armi e non essere inviati a combattere in Ucraina - Reuters

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Si trovava già al lavoro, mercoledì mattina, quando il telefono ha squillato e sua moglie gli ha dato la notizia: «È iniziata. Hanno annunciato la mobilitazione». Mark, nome fittizio per proteggere la sua identità, ha capito subito di essere in cima alla lista della più grande chiamata alle armi dalla Seconda guerra mondiale. «Sono stato un sergente, ho prestato servizio militare nell’esercito russo tra il 2009 e il 2010 e ho meno di 35 anni» ci racconta online dalla sua città, un centinaio di chilometri da Mosca.

Esattamente il profilo tratteggiato con parole precise (nel mezzo di ore di informazioni vaghe e pochi dettagli) dal presidente della commissione per la Difesa della Duma Andreij Kartapolov. Nessun dubbio, dunque, su cosa gli riservi il futuro. Così, mentre diversi suoi amici e colleghi hanno già ricevuto la convocazione, lui da mercoledì progetta la fuga. Attraverserà il confine con la Georgia per poi raggiungere la Turchia.

«Andrò solo io per ora. Ho una moglie e un figlio meraviglioso che sta per compiere 8 mesi. Non voglio metterli a rischio. Oltre ai costi proibitivi dei biglietti aerei per l’estero, negli aeroporti le autorità interrogano giovani in età militare diretti oltreconfine. Per questo ho scelto un volo interno per la città di Vladikavkaz. Lì cercherò un mezzo di trasporto per Tbilisi, poi volerò a Istanbul».

Nella città turca, uno degli hub più frequentati dai dissidenti di Mosca dall’inizio del conflitto, Mark ha già contattato The Ark, organizzazione russa che fornisce supporto legale, pratico e alloggi temporanei per espatriati a rischio. In poche ore, tra mercoledì e giovedì, il canale Telegram di The Ark e le sue chat hanno registrato 60mila nuovi iscritti.

Mentre rifletteva sulle tappe del viaggio, Mark si è licenziato. Fino a venerdì si occupava della logistica di un magazzino e aveva 100 persone sotto la sua supervisione. «Ho lasciato il lavoro perché fosse più difficile consegnarmi la convocazione di richiamo militare» ci dice, spiegando che le autorità riescono a raggiungere più facilmente i riservisti in azienda che a casa, perché spesso la residenza resta nelle abitazioni di famiglia mentre il domicilio è altrove.

Mark viaggerà leggero, jeans, scarpe da ginnastica, soldi «ma pochi, perché non me li portino via alla frontiera. Non so cosa aspettarmi al confine, mi rassicura l’idea che saremo in tanti». Nel valutare l’ondata di partenze, però, resta cauto perché riferisce che molti suoi concittadini non credono sia davvero possibile lasciare la Russia.

«Nessuno vuole entrare nell’esercito perché nessuno vuole morire, soprattutto per scopi bellici che restano oscuri. Ma la propaganda è forte e dai canali filo-governativi viene detto che provare a lasciare il Paese non funzionerà. Così la maggior parte dei riservisti, come pecore portate al macello, belano, piangono, ma si presentano alla mobilitazione. Finiranno al fronte, in quel tritacarne di corpi umani e di fuoco, da dove molti non torneranno più».

Per parte sua, lui spera di essere già oltreconfine quando verranno a cercarlo. La data è stabilita, partirà il 27 settembre, il prossimo martedì. Lo stesso giorno in cui suo figlio compirà otto mesi.

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