martedì 16 febbraio 2021
I casi settimanali sono passati da oltre cinque milioni, nel periodo 4-10 gennaio, a 2,6 milioni nel periodo 8-14 febbraio. Nell'Ue tra marzo e novembre 2020 oltre 450mila decessi in più
Un tampone Covid a Kuala Lumpur in Malaysia

Un tampone Covid a Kuala Lumpur in Malaysia - Reuters

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Il numero dei nuovi contagi da Covid-19 a livello globale è diminuito per la quinta settimana consecutiva e dall'inizio dell'anno il bilancio settimanale delle infezioni si è quasi dimezzato: lo ha reso noto su Twitter il direttore generale dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), Tedros Adhanom Ghebreyesus. I casi settimanali, ha precisato, sono passati da oltre cinque milioni nel periodo 4-10 gennaio a 2,6 milioni nel periodo 8-14 febbraio.

"Questo dimostra che semplici misure di salute pubblica funzionano contro il #COVID19, anche in presenza delle varianti - ha commentato il numero uno dell'Oms in un tweet successivo -. Ciò che conta adesso è come rispondiamo a questo trend. L'incendio non è domato, ma abbiamo ridotto le sue dimensioni. Se smettiamo di combatterlo su qualsiasi fronte, ritornerà ruggendo".

Il bilancio dei morti provocati dal coronavirus a livello globale ha superato oggi quota 2,4 milioni: la soglia dei due milioni era stata superata il 15 gennaio scorso. Secondo i dati della Johns Hopkins University, attualmente i decessi causati dal virus nel mondo sono 2.407.869 su un totale di 109.155.627 persone contagiate.

Eurostat: in Italia +50% mortalità a marzo-aprile e novembre 2020

In Italia il tasso di mortalità è aumentato di quasi il 50% in primavera e a novembre 2020 rispetto agli stessi periodi del 2016-19. Lo ha reso noto oggi Eurostat in base ai dati raccolti sull'incremento della mortalità in Europa tra marzo e novembre dello scorso anno. L'Ue ha raggiunto un primo picco in aprile (più 25%), quando Spagna (79,4%), Belgio (73,9%) e Olanda (53,5%) sono risultati i Paesi più colpiti. L'Italia ha raggiunto i suoi livelli massimi in marzo (più 49,4%), aprile (41%) e novembre (49,5%). Nell'Ue tra marzo e novembre 2020 si sono registrati oltre 450mila decessi in più.

La Germania in lockdown ha 3.865 nuovi contagi

Migliora la situazione nei Paesi europei in lockdown. In Germania, nelle ultime 24 ore, sono stati segnalati 3.865 nuovi contagi. Lo riporta il Robert Koch Institute (Rki), che ha aggiornato a 2.342.843 il totale dei casi da inizio pandemia. Le vittime sono state 528, portando il totale a 65.604.

La Gran Bretagna domenica ha registrato 9.765 nuovi contagi, scendendo sotto quota 10mila per la prima volta dal 2 ottobre. I decessi sono stati 230, il numero più basso dal 26 dicembre. Il premier Boris Johnson è molto prudente sui tempi di qualsiasi allentamento, avvertendo che "la road map" sul dopo lockdown promessa per il 22 febbraio potrebbe non indicare alcuna svolta ravvicinata e che l'esecutivo, in accordo con i suoi consulenti, si farà guidare dai dati sull'andamento della pandemia.

Gli Stati Uniti hanno registrato ieri 52.685 nuovi casi e 985 decessi (dati Johns Hopkins University). I nuovi dati portano il bilancio complessivo dei contagi a quota 27.692.967 e quello dei morti a 486.321.

Altre mutazioni del virus individuate nel Regno Unito

Nuove inquietudini sulla possibile diffusione nel Regno Unito di ulteriori mutazioni del coronavirus spuntate negli ultimi giorni rimbalzano oggi dalle pagine del Sun. Il primo allarme potenziale riguarda una sorta di modificazione della cosiddetta 'variante inglese' - indicata dal codice B.1.1.7 e scoperta inizialmente nel Kent, prima di divenire da dicembre dominante nel Regno rispetto al ceppo originario del Covid, con caratteristiche più aggressive in termini di trasmissibilità - identificata nei giorni scorsi in alcuni decine di casi concentrati fra Bristol e un paio di aree di Manchester. Una variante della variante che, a differenza della B.1.1.7 del Kent, contiene anche la mutazione specifica E484K, analoga a quella delle temute varianti 'sudafricana' o 'brasiliana' e potenzialmente più resistente ai vaccini esistenti.

Il secondo allarme ha a che fare invece con una variante del tutto diversa, ribattezzata B.1.525 e tracciata per la prima volta in Nigeria, dove nel frattempo è diventata dominante, per poi diffondersi episodicamente in vari Paesi europei, inclusi Francia, Danimarca e Spagna, nonché negli Usa, dove è stata inserita fra le 7 nuove mutazioni più preoccupanti. Anche questa seconda minaccia contiene la mutazione E484K, che getta qualche ombra sull'efficacia dei vaccini disponibili: nel Regno - Paese che fa più controlli genomici al mondo - è stata individuata in questi giorni su 38 pazienti testati, sparsi fra l'altro in varie zone dell'isola, scrive oggi il Sun.

I timori sono al momento limitati - almeno per quel che riguarda lo scenario britannico, ha precisato la professoressa Yvonne Doyle, direttrice di Public Health England (Phe) - poiché nessuna di queste versioni sembra ancora in grado di divenire prevalente soppiantando la variante del Kent (già più contagiosa di suo di circa il 70% a paragone del ceppo primario del Covid, non senza qualche segnale d'una limitata maggiore letalità): ipotesi che modificherebbe di nuovo il quadro accrescendo le incertezze. Ma le incognite future non mancano. Soprattutto nel momento in cui il Regno dovrà iniziare a riaprirsi gradualmente ai contatti dopo il terzo lockdown nazionale, in vigore da ormai oltre un mese e mezzo e destinato a durare fino a Pasqua.

Nella corsa a vaccinare, primi Gran Bretagna, Usa e Israele

La vaccinazione di massa nel mondo continua a ritmi serrati, con Israele, Regno Unito e Stati Uniti in testa. Secondo i dati raccolti da Bloomberg, 173 milioni di dosi di vaccino sono state somministrate in 77 nazioni. Tra i Paesi europei spicca la Gran Bretagna di Boris Johnson, partita per prima: ha somministrato almeno una dose a oltre 15 milioni di persone, centrando l'obiettivo di coprire entro il 15 febbraio le prime quattro fasce di rischio con almeno un'inoculazione.

A buon punto anche gli Stati Uniti di Joe Biden, che aveva promesso 100 milioni di vaccinati entro i primi 100 giorni dall'insediamento: la media giornaliera è di un milione e 368 mila di dosi inoculate e a questo ritmo il traguardo verrebbe raggiunto in 73 giorni.

In Israele la campagna di inoculazione prosegue a passi da gigante in vista delle elezioni del 23 marzo, in cui il premier Benjamin Netanyahu si gioca l'ennesima rielezione. Su 9 milioni di abitanti, sono quasi 6,4 milioni le dosi inoculate, pari a 70,46 dosi ogni 100 persone; il 42,8% dei cittadini ha ricevuto la prima dose e il 27,7% entrambe.

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