lunedì 5 aprile 2021
I Nobel Yunus e Stiglitz con India e Sudafrica per lo stop temporaneo ai diritti. E gli Usa a sorpresa aprono. Covax ha raggiunto 74 Paesi con 33 milioni di fiale. In Africa immunizzato l'1,7%
L'arrivo dei vaccini ad Hanoi in Vietnam

L'arrivo dei vaccini ad Hanoi in Vietnam - Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

A meno di quattro mesi dall’inizio della più imponente campagna d’immunizzazione della storia, nel pianeta sono state già distribuite poco più di 600 milioni di dosi. In media, 7,7 ogni cento abitanti. Uno sforzo enorme. Le medie, però, rivelano poco della realtà. L’ultimo anno di pandemia lo ha tragicamente dimostrato. Ancor più del Covid, forse, il suo antidoto sta diventando la sintesi delle enormi diseguaglianze esistenti nel mondo. Mentre in America del Nord ed Europa il vaccino ha raggiunto il 27,5 e il 20,2 per cento della popolazione, secondo il portale specializzato Our world in data, in Africa è arrivato ad appena l’1,78 per cento e in America Latina al 6,16 per cento. Tali divergenze si devono alla difficoltà di approvvigionamento da parte dei Paesi a basso reddito: 55 di questi non hanno ancora ricevuto nemmeno una fiala.
E i tempi rischiano di allungarsi ulteriormente. Degli 8,6 miliardi di ordinazioni già confermate, sei miliardi sono destinati a nazioni a medio o alto reddito, dove risiede il 20 per cento della popolazione mondiale. Non è solo una questione etica. L’immunità di popolazione globale – da cui dipende la sconfitta del virus – presume l’inoculazione del 70 per cento degli esseri umani con l’erogazione di undici miliardi di dosi. Di questo passo, rischiano di volerci anni. Nel frattempo, i focolai attivi in qualunque punto del planisfero possono compromettere i risultati raggiunti altrove. «I vaccini costituiscono uno strumento essenziale» nella lotta alla pandemia, ha detto, durante la benedizione pasquale Urbi et orbi, papa Francesco. E, di nuovo, ha rivolto un appello affinché «nello spirito di un “internazionalismo dei vaccini”», l’intera comunità internazionale dia vita a un «impegno condiviso per superare i ritardi nella loro distribuzione e favorirne la condivisione, specialmente con i Paesi più poveri». Finora, però, fra le grandi potenze ha prevalso la reazione opposta. Un anno fa, l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) aveva creato una piattaforma internazionale per la messa in comune delle conoscenze scientifiche e tecnologiche fra aziende in modo da arrivare più velocemente al vaccino e erogarlo nel Sud del mondo. Nessuna delle principali compagnie ha finora aderito. La settimana scorsa, l’Oms ha chiesto un maggiore sforzo alle nazioni più ricche per finanziare Covax, il progetto solidale che finora ha portato 33 milioni di dosi in 74 nazioni delle periferie geopolitiche del pianeta. «È una sfida urgente», ha detto il direttore, Tedros Adhanon Ghebreyesus. Allo stesso tempo, i “Grandi”, patria dei giganti di Big Pharma, hanno bloccato la richiesta di India e Sudafrica all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) per sospendere i brevetti su farmaci e vaccini anti-Covid fino alla fine della pandemia. Sostenute da oltre un centinaio di nazioni del Sud del pianeta, da numerose organizzazioni umanitarie e movimenti della società civile, però, Delhi e Johannesburg non cedono. E hanno intenzione di riproporre la questione alla prossima riunione della Wto, l’8 giugno. L’istanza, del resto, è contemplata dallo stesso regolamento dell’Organizzazione che, all’articolo 9, prevede il congelamento temporaneo delle licenze in casi di particolare gravità. Come una pandemia, appunto.
Tanto più che per sviluppare gli antidoti, le grandi case farmaceutiche hanno ricevuto 83,5 miliardi di fondi pubblici. Esistono precedenti importanti. Non solo la battaglia per il libero accesso agli anti-retrovirali all’inizio degli anni Duemila. Durante la Seconda guerra mondiale, il governo Usa riuscì a incrementare la produzione di penicillina grazie alla collaborazione tra aziende e università pubbliche, senza badare alla proprietà intellettuale. L’esempio è citato in un editoriale della rivista scientifica Nature, dall’eloquente titolo: «È tempo di considerare la sospensione dei brevetti per i vaccini anti-Covid». Della stessa opinione i Nobel per l’Economia, Joseph Stiglitz e Mohammad Yunus. A sorprendere, però, è stato lo spiraglio aperto da Joe Biden il quale ha invitato a considerare la questione. E, ieri, il segretario al Tesoro, Janet Yellen, ha invitato a rendere «il più possibile disponibili» vaccini, test e cure nel mondo. Proprio Washington – secondo il New York Times – potrebbe essere la chiave della svolta. Numerosi antidoti – inclusi quelli di Moderna, Johnson & Johnson, Novavax, CureVac e Pfizer-BioNTech – si basano sulle ricerche – brevettate – sulla Mers condotte nel 2016 dal governo Usa insieme al Dartmouth college e l’Istituto Scripps. Finora, però, solo BioNTech avrebbe pagato l’Amministrazione per l’utilizzo dei risultati. Biden, dunque, avrebbe una potente arma di pressione su Big Pharma. Nei prossimi mesi si vedrà se e come deciderà di impiegarla.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: