sabato 25 maggio 2019
La sociologa rappresentante del Masci: insistere sugli aspetti culturali e valoriali come la democrazia e il welfare
Carla Collicelli: l'Europa ha bisogno di una identità culturale più forte
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Rappresentante del Masci, il movimento adulti scout cattolici italiani, la sociologa Carla Collicelli, da decenni si occupa di educazione e sociale in Italia ed Europa a partire da un intenso periodo di specializzazione in gioventù a Francoforte sul Meno. E’ stata lei a fare la sintesi del manifesto “Per l’Europa che vogliamo” di Retinopera e a curare in particolare il punto dedicato alla promozione della cultura, della scienza e dell’arte in Europa.

Professoressa Carla Colicelli, Retinopera auspica un maggior interscambio tra istituzioni, imprese, associazioni. Un simbolo dell’Europa, proprio nel campo della cultura, è il progetto Erasmus. Un buon modello, ma forse sinora confinato a una esperienza universitaria studentesca. Come e dove sviluppare questi scambi culturali ed economici?
Il progetto Erasmus è sicuramente un bell’esperimento, però analizzando i dati ci si rende conto che è confinato non solo in ambito universitario, ma in una setta della platea universitaria. Ci sono problemi di costi, ma anche di risorse culturali che permettono ad alcuni studenti di accedere e ad altri meno. E’ un modello che andrebbe esteso in maniera molto forte, soprattutto rispetto alle categorie di ragazzi che fino ad oggi ne sono rimasti esclusi e potrebbero rimanere esclusi anche in futuro. Comunque il progetto Erasmus non può essere l’unico e il quarto punto del documento di Retinopera nasce proprio dall’intenzione di trovare altre modalità di interscambio. Non possiamo nasconderci che ci sono già reti, europee e internazionali, tra soggetti economici e soggetti associativi, però gli sforzi fatti risultano insufficienti e forse troppo settoriali. Soprattutto si fa fatica a trovare una piattaforma di azione comune, limitandosi al più a uno scambio di informazioni. Quello che il documento di Retinopera vorrebbe promuovere è l’individuazione di obiettivi comuni e di una alleanza molto concreta e operativa tra i vari soggetti. Stiamo aspettando il risultato delle elezioni del nuovo Parlamento europeo per poter così individuare, con i nuovi eurodeputati, una strategia di supporto a questo tipo di interscambio.

Le associazioni di Retinopera auspicano pure, nella prossima legislatura europea, la costruzione di una “identità laica europea” in cui si tenga conto “di tutte le espressioni sociali e religiose diffuse nel territorio europeo”. Come favorire questo obiettivo, con quali politiche affermare questo tipo di laicità?
E’ un punto che sta molto a cuore a Retinopera perché è già di per sé un organismo pluralistico, anche se tutto di ambito cattolico: all’interno della nostra compagine ci sono molte realtà che insistono moltissimo sulla integrazione con gli altri mondi a livello religioso e culturale, con impostazioni anche politiche diverse. Per questo ci piacerebbe che ci fosse maggiore consapevolezza della identità storica e culturale della nostra Europa: spesso ci si dimentica che l’Europa ha delle caratteristiche molto specifiche per quanto riguarda le sue origini, le culture di cui è stata culla e promotrice a livello mondiale. Su questa consapevolezza bisognerebbe provare a costruire una identità culturale più forte. Il discorso, trasversale un po’ a tutto il documento di Retinopera, è di cercare di combattere una identità centrata quasi esclusivamente sugli aspetti economici e commerciali, che purtroppo sono predominanti, per insistere sugli aspetti culturali e valoriali come ad esempio la democrazia e il welfare state che sono tutti e due frutti specifici della cultura europea.

Le vostre associazioni chiedono pure investimenti nella ricerca e nell’istruzione. I fondi Ue per questi settori non sono sufficienti? Come potrebbero favorire il lavoro dell’associazionismo?
Ci sono almeno due problemi: da un lato l’ammontare complessivo dei fondi destinati a ricerca e scienza, che non è mai sufficiente. L’Europa investe parecchio, non dobbiamo dimenticarcelo, ma si spinge di più su investimenti che prefigurano dei profitti a breve termine e che hanno potenzialità economiche e finanziare. Questo non nuoce, molto è stato fatto in questa direzione dal mondo dell’industria e della ricerca scientifica: però bisognerebbe ampliare le risorse a disposizione di ricerca, scienza e università. Il secondo problema, che si pone per l’Italia ma non solo, è la buona utilizzazione di questi fondi. Questo perché di fronte a quantitativi dignitosi o teoricamente adeguati, quando ci sono delle verifiche su come questi fondi sono utilizzati, si rimane molto delusi: da un lato alcuni Paesi, e l’Italia fra questi, non riescono nemmeno a spendere tutto quello che potrebbero e dall’altro, a volte, i progetti hanno una loro attrattività di facciata ma, nella sostanza, non sono sufficientemente solidi per poter dare risultati veramente utili.

Si parla anche di una “Europa dell’ambiente”, mentre in un altro punto del documento si indica l’obiettivo di uno sviluppo sostenibile. Una sfida anche questa culturale e scientifica?
Il riferimento deve andare assolutamente all’agenda Onu 2030 e a quello che alcuni Paesi, come l’Italia, stanno facendo per la realizzazione di questi obiettivi sullo sviluppo sostenibile. Recentemente ho avuto modo di parlare con Luca Jahier, presidente del Comitato economico e sociale europeo: l’agenda su cosa fare per uno sviluppo sostenibile ce l’abbiamo, è quella dell’Onu firmata da 190 Paesi. Non poteva mancare, in un documento dell’associazionismo di base, un riferimento preciso su questo. Intanto il tempo passa e alcuni Paesi e alcuni obiettivi sono più avanzati, altri meno. Mi lasci dire che spesso ci si dimentica che, se c’è un ruolo governativo che va sollecitato, c’è pure un impegno necessario da parte di tutti che va sollecitato. Lo sviluppo sostenibile dipende anche dai nostri comportamenti, dall’uso delle risorse materiali, immateriali, dall’equità e dalla giustizia sociale.

Per concludere, come può l’associazionismo di base, e lo scautismo da cui lei proviene, educare a un “buon europeismo”?
Come Masci puntiamo, in particolare, all’educazione degli adulti. Un tema importante, ma abbastanza trascurato. I giovani, ovviamente, sono il cuore delle necessità educative e formative di un Paese e di una società, ma gli adulti spesso dimenticano che anche loro hanno bisogno di aggiornarsi e di crescere, di promuovere momenti comunitari per una crescita valoriale e culturale. Masci, Agesci e gli altri soggetti di Retinopera già fanno degli sforzi in questo senso, già esistono delle reti europee e internazionali nelle quali ci si ritrova. Quello che manca è una convergenza di interessi e impegni fra tutte le associazioni coinvolte: come ha più volte ricordato anche Papa Francesco, i singoli sforzi si moltiplicano e hanno risultati maggiori laddove si uniscono verso un sforzo collettivo. Per questo stiamo cercando di avere, a Parlamento europeo rinnovato, un incontro internazionale europeo su questi temi per andare oltre le frontiere italiane.

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