lunedì 10 agosto 2015
Per il sociologo Fabio Massimo Lo Verde (nella foto) sta crescendo la logica della condivisione, ma va alimentata con risorse calibrate sui diversi territori.
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C'è chi scappa e chi resta. Il Sud è pieno di contraddizioni: da un lato la fuga di cervelli, dall’altra la voglia di creare impresa. Con Fabio Massimo Lo Verde, docente di Sociologia dei consumi e degli stili di vita all’Università di Palermo, proviamo a decifrare i comportamenti dei giovani meridionali in tempo di crisi.L’Istituto Toniolo ha certificato che più dell’84% degli intervistati è pronto a trasferirsi....È un atteggiamento che non mi sorprende affatto. Da 15 anni assistiamo al ritorno del fenomeno della migrazione da parte delle nuove generazioni. Una tendenza che è aumentata con la crisi economica: da sette anni è mutato l’identikit di chi emigra.In che senso?Intanto, a fianco di chi è in possesso di un titolo di studio medio-alto, ossia laurea e master, ci sono molti diplomati che non riescono a entrare nel mercato del lavoro. La fascia di età dei nuovi migranti è tra i 25 e i 35 anni. Si registra anche una forte presenza femminile.Una fuga di cervelli e risorse umane in massa. Perché?Molti vogliono progettare il proprio futuro professionale distaccandosi dal ricorso alla raccomandazione e alla conoscenza personale. Sono sempre di più i giovani meridionali consapevoli delle proprie competenze. Vogliono veder riconosciuto per merito il loro diritto a lavorare e fare carriera. Inoltre Internet e i social media li aiutano a creare reti solidali e a scambiare informazioni utili per trovare un’occupazione all’estero.L’Italia, insomma, non è un Paese per giovani...Se è per questo, non è nemmeno un Paese per vecchi. Tanti ragazzi e ragazze tornerebbero volentieri, ma non ci sono le condizioni economiche e infrastrutturali che consentono il loro ritorno. Molti laureati, per esempio, hanno maturato la decisioni di emigrare dopo aver avuto un’esperienza di studio all’estero con l’Erasmus, il programma europeo di scambio culturale universitario.Nessuna speranza di rivederli di Italia?È chiaro che il loro ritorno avrebbe senso eccome. Servono, però, quelle risorse e quelle misure politico-economiche in grado di attirare e valorizzare il capitale umano. Le imprese italiane devono poter inserire quei profili innovativi di cui hanno bisogno.Job act, decontribuzione e Garanzia giovani non hanno frenato la fuga...Intanto qualche segnale positivo si comincia a registrare. La riforma del lavoro e il ricorso ai fondi europei stanno facendo emergere l’economia sommersa e la voglia di creare impresa. Poi cresce il numero degli iscritti a Garanzia giovani: Sicilia e Campania guidano la classifica. Inoltre sta cambiando l’approccio culturale delle nuove generazioni.Come?Non ci sono soltanto i comportamenti inerziali, ossia raccomandazione o emigrazione. Stanno crescendo forme nuove di associazionismo. C’è voglia di stare insieme, combattere l’illegalità e la rassegnazione. Sta crescendo e va alimentata la logica della condivisione. Che in alcuni casi riesce a produrre anche imprese cooperative o start up innovative legate alle specificità del territorio.
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