sabato 15 aprile 2023
Il direttore della Caritas italiana: in campo con la nostra proposta, in parte già recepita dal governo. No alle contrapposizioni
Don Pagniello (Caritas): «Apriamo il confronto. Sì a due misure distinte»

IMAGOECONOMICA/ALESSIA MASTROPIETRO

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«Noi abbiamo presentato una proposta articolata, che il governo ha apprezzato e di cui ci sembra abbia tenuto conto per alcuni aspetti nell’ultima bozza di riforma che è stata anticipata. Adesso vorremmo che si aprisse un confronto ampio con tutto il mondo del Terzo settore, il sindacato e le opposizioni per dare una vera risposta alle persone in povertà». Don Marco Pagniello, direttore della Caritas italiana fa un appello a verificare le diverse opzioni ma soprattutto ad evitare le contrapposizioni sul contrasto alla povertà. «Per il bene delle persone che è la vera priorità».

Partiamo dalla vostra proposta (pubblicata su Avvenire del 31 marzo). Anche la Caritas si è orientata su due misure distinte al posto del Rdc: un Assegno per il lavoro (Al) e un Reddito di protezione (Rep). Perché?

Questa è stata la direzione indicata dal Governo già molti mesi fa e noi riteniamo che sia del tutto condivisibile, viste le difficoltà e criticità dell’attuale impostazione del Reddito di cittadinanza che ingloba due obiettivi diversi (contrasto alla povertà e inserimento lavorativo). Un simile assetto inoltre è già stato fatto proprio da otto Paesi europei, diversi dei quali vicini al nostro (Austria, Francia, Grecia, Portogallo e Spagna). Seguendo i modelli europei, la prima è una misura di inserimento lavorativo per persone occupabili in difficoltà economica e l’altra è una misura di tutela di un reddito minimo per le famiglie povere. Puntare su due misure distinte e con profili chiaramente definiti e differenziati, come nel caso di Rep e Al, avrebbe vari vantaggi. Primo, renderebbe più semplice ed efficace la gestione degli interventi e l’organizzazione dei servizi. Secondo, offrirebbe maggiori possibilità di costruire risposte adatte alle specifiche caratteristiche dei diversi percettori. Terzo, assicurerebbe ai rispettivi beneficiari più chiarezza in merito a cosa si possono aspettare e a cosa ci si aspetta da loro.

Con quali criteri si distingue chi accede a una o all’altra misura?

Fondamentalmente per accedere all’Assegno Sociale per il Lavoro (Al), oltre a trovarsi in una situazione di difficoltà economica, bisogna aver perso il lavoro da non più di 3 anni e quindi avere un profilo professionale che può consentire un più agile reinserimento nel mondo del lavoro, con appositi percorsi di riqualificazione. L’Al è una misura ibrida, a metà fra misura di contrasto alla povertà e misura di inserimento lavorativo. Il Rep è una misura per il sostegno al reddito delle persone in povertà, per cui per riceverla bisogna essere poveri. La differenza principale è che l’Al è rivolta alle singole persone, perché l’occupabilità si basa sulle caratteristiche individuali, mentre il Rep che è una misura di contrasto alla povertà è destinata al nucleo familiare, perché la povertà è familiare. Le due misure sono cumulabili: puoi avere diritto all’Al e siccome vivi in una famiglia in povertà la tua famiglia riceverà anche il Rep, che sarà però rimodulato in base all’importo dell’assegno sociale per il lavoro. Entrambe si basano sul connubio tra contributo economico e servizi di supporto, che nel caso dell’Al sono di inserimento lavorativo, nel caso del Rep di sostengo sociale.

Una delle critiche da sempre avanzate sul Rdc era quella di sottostimare il peso dei figli, di fatto avvantaggiando i singoli e penalizzando le famiglie. La vostra proposta come corregge questa stortura?

Già nel monitoraggio sul Rdc realizzato nel 2021 da Caritas Italiana abbiamo sottolineato la necessità di riequilibrare la misura che ora è fortemente sbilanciata sui singoli a sfavore delle famiglie numerose (la misura copre l’81% dei nuclei poveri di una persona, il 36% dei nuclei poveri di 4 persone). Per noi si deve partire dalla riduzione della quota per il singolo che oggi è molto alta e che combinata con una scala di equivalenza piatta (che cioè non varia all’aumentare del numero di persone), produce le distorsioni di cui tutti sappiamo. Dunque non basta dire aumentiamo soglie e importi per tutti, bisogna ragionare nei termini di ripristinare una equità all’interno della misura, riducendo da una parte e aumentando dall’altra.

Nel vostro progetto pensate anche a importi differenziati in base al costo della vita nei diversi territori. Lo ritenete un sistema più equo così?

Anche in questo caso il fatto che la soglia del Rdc sia unica per tutto il territorio nazionale ha prodotto, in un Paese come il nostro caratterizzato da profonda eterogeneità territoriale nel costo della vita, grandi squilibri: la misura del Rdc copre il 95% delle famiglie al Sud, il 37% al Nord. Molti poveri del Nord che sono sopra soglia per via del reddito ma che subiscono un costo della vita più alto e dunque sono di fatto in povertà assoluta (l’Istat utilizza soglie differenziate), non possono ricevere la misura perché non rientrano nei criteri fissati dal Rdc. Noi stiamo lavorando a una ipotesi di una soglia unica nazionale su cui innestare delle sottosoglie diversificate per area geografica e ampiezza del comune di residenza. La differenza nel costo della vita non la fa solo vivere al Nord, al Centro o al Sud, ma anche vivere in una comune piccolo piuttosto che medio o grande. Non tenerne conto significherebbe “far parte uguali fra disuguali” come diceva Don Milani.

Avete avuto un’interlocuzione con il governo. Come è stata accolta la vostra proposta e soprattutto come giudicate le indiscrezioni emerse nelle ultime ore sul progetto dell’esecutivo?

C’è stato grande ascolto e condivisione dell’idea e del metodo da noi proposto. E questo è stato un ottimo segnale. L’ultima bozza di riforma emersa in questi giorni ci pare aver già recepito alcune nostre indicazioni, anche se restano diversi aspetti da verificare e discutere. Adesso però è tempo di concretezza e spirito costruttivo per poter elaborare una prospettiva e un progetto sulle politiche contro la povertà nei prossimi anni. Dobbiamo tutti concentrarci su questo, per il bene delle persone in povertà nel nostro Paese. E questo è il segnale che la Caritas e la Chiesa vogliono dare in questo momento: insieme per il bene e per il futuro delle persone in povertà.

Lunedì si aprirà il Convegno nazionale delle Caritas diocesane. Quali saranno le questioni centrali che discuterete?

Ogni periferia, geografica ed esistenziale, con il suo carico di emarginazione e sofferenza, può e deve essere protagonista di processi di cambiamento, partecipazione, condivisione e solidarietà. Sarà questo il tema del 43° Convegno nazionale delle Caritas diocesane “Agli incroci delle strade. Abitare il territorio, abitare le relazioni”. Saremo a Salerno dal 17 al 20 aprile con circa 600 tra direttori e operatori Caritas per confrontarci su come andare verso le periferie per riportarle al centro. Alla luce del cammino sinodale significa essere prossimi alle tante anime che le popolano, incontrarle, accogliere le loro difficoltà, le speranze, i progetti, ma anche valorizzare i loro talenti, le loro risorse. Per costruire insieme comunità che siano lievito di fraternità.

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