venerdì 31 marzo 2023
Ecco come si articola l’ipotesi di superamento del Reddito di cittadinanza mantenendo un sussidio minimo per tutti quelli indifficoltà e misure di avviamento al lavoro
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Un contributo per la riforma delle politiche di contrasto alla povertà, una proposta in parte alternativa rispetto alle bozze di revisione del Reddito di cittadinanza circolate nelle scorse settimane. La Caritas Italiana ha presentato infatti al Governo, in un tavolo di confronto, una propria proposta di revisione del Reddito di cittadinanza, che assume alcuni dei criteri indicati dalla maggioranza, fa tesoro delle esperienze di Rei e Rdc e prova a correggerne alcune storture.

In sintesi, la proposta prevede l’introduzione di due misure, tra loro complementari: l’Assegno Sociale per il Lavoro (Al) e il Reddito di Protezione (Rep).

La prima (Al) si rivolge alle persone in difficoltà economica senza lavoro da un determinato periodo di tempo – i famosi “occupabili” definiti tali secondo criteri oggettivi e non per situazione familiare – che siano prive di sostegni pubblici per la disoccupazione e ha come obiettivo il re-inserimento lavorativo. Si articola in un trasferimento monetario e in attività mirate a trovare un nuovo impiego.

È a tempo limitato e pone ai beneficiari stringenti condizioni affinché si impegnino attivamente nella ricerca di un’occupazione. Prevedendo però anche un set di incontri di ingresso e di impegno.

La seconda misura (Rep) è destinata, invece, alle famiglie in povertà e con essa si intende garantire loro una vita dignitosa prevedendo percorsi di reinserimento sociale e di avvicinamento al mercato del lavoro. Per il momento non viene indicato nessun importo né definite le soglie di ingresso nelle misure, perché è fondamentale anzitutto individuare la struttura più adatta. Tuttavia, si prevede che l’Al abbia un valore inferiore a quello della Naspi, e della Rep, che sia a tempo (12 o 18 mesi si ipotizza) e non immediatamente rinnovabile. La Rep, invece, avrebbe durata di 18 mesi ma rinnovabile, come un reddito minimo di sussistenza da assicurare sempre a chi si trova in condizione di povertà. Ancora, l’accesso agli stranieri avverrebbe dopo 5 anni di residenza e, novità importante della proposta Caritas, le soglie e gli importi potrebbero essere differenziati in base alla residenza (territorio e grande o piccolo comune) per tenere conto del diverso peso di prezzi e potere d’acquisto.

Per la Caritas questo schema risponde a tre principi di fondo.

Anzitutto, assicurare il diritto a un’esistenza dignitosa per chiunque sia caduto in povertà, come è previsto in tutta Europa, indipendentemente dalla sua condizione lavorativa.

Poi, coniugare diritti e doveri, ovvero combinare la garanzia di un’esistenza dignitosa con la richiesta alle persone di aderire a un progetto di cambiamento della propria vita.

Infine, superare la confusione tra l’obiettivo dell’inserimento lavorativo e quello della tutela di ultima istanza, prevedendo due misure distinte con finalità diverse e adottando come criterio di distinzione quello della vicinanza delle persone al mercato del lavoro.

Uno dei difetti principali dell’ipotesi di riforma elaborata dal Governo con la nuova Mia (Misura di inclusione attiva), infatti, è quella di distinguere gli “occupabili” non in base alla loro effettiva condizione all’interno del mercato del lavoro, ma solo considerando il carico familiare, la presenza o meno nel nucleo di minori o di anziani.

«La proposta è il frutto del lavoro realizzato da un composito gruppo di operatori di Caritas diocesane, studiosi esperti del settore, membri di uffici della Cei e si radica nell’impegno quotidiano dell’ampia rete delle Caritas sui territori in favore delle persone in povertà», spiega don Marco Pagniello, direttore di Caritas Italiana.

La questione centrale, secondo la Caritas, è che necessario riflettere sulle politiche contro la povertà considerando «la realtà delle persone in povertà, le loro fatiche ma anche le loro percezioni e aspirazioni. Al contempo, è utile capitalizzare l’esperienza degli operatori e delle operatrici dei servizi pubblici, delle amministrazioni ai vari livelli di governo e delle organizzazioni sociali sui territori dal cui lavoro quotidiano passa la realizzazione degli interventi».

«Contrastare la povertà – sottolinea don Pagniello – è un processo lungo che richiede sforzi congiunti e un impegno collettivo da portare avanti insieme con concretezza, competenza e dialogo costruttivo. Solo così possiamo sperare in un futuro migliore per milioni di persone in povertà nel nostro Paese».

Il nodo della famiglie che oggi restano «scoperte»​

La proposta Caritas cerca di risolvere il paradosso per cui oggi troppe famiglie in povertà assoluta non ricevono il Rdc (tra il 50 e il 61%) e troppe che non sono in condizione di povertà assoluta, invece, lo ricevono (tra il 36 e il 51%). Si vogliono, dunque, rivedere i criteri di accesso così da migliorare la capacità di raggiungere i poveri. Innanzitutto, non penalizzare le famiglie numerose e con figli, come oggi accade. Inoltre, superare le discriminazioni verso gli stranieri (non 10 ma 5 anni massimo di residenza). Infine, considerare le notevoli differenze territoriali nel costo della vita.

Sostegni dignitosi a chi è in povertà​

Il progetto elaborato dalla Caritas intende anche assicurare il diritto a un’esistenza dignitosa a chiunque sia caduto in povertà. In tutta l’Unione Europea chi si trova in condizioni d’indigenza (con risorse economiche inferiori ad una determinata soglia di povertà) è titolato a ricevere un sostegno pubblico con continuità. Inoltre, in nessun Paese europeo a un disoccupato senza altre forme di sostentamento è precluso l’accesso al sostegno economico contro la povertà solo perché considerato occupabile. Quest’ultima condizione viene valutata in base alla maggiore o minore vicinanza al mercato del lavoro e al periodo trascorso di disoccupazione.





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