martedì 29 settembre 2009
«Avvertiamo più che mai l’esigenza educativa, in riferimento alla cosiddetta questione meridionale». Lo ha detto il segretario generale della Cei, mons. Mariano Crociata, nell'illustrare il documento finale del Consiglio Permanente, in cui un importante spazio viene dato anche alla questione dell'immigrazione e della convivenza civile.
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“Avvertiamo più che mai l’esigenza educativa, in riferimento alla cosiddetta questione meridionale”. E non è una “pura coincidenza” con il tema degli Orientamenti pastorali della Cei per il prossimo decennio, ma una constatazione “che corrisponde all’urgenza maggiore che emerge”. Interpellato dai giornalisti durante la conferenza stampa di presentazione del Comunicato finale del Consiglio episcopale permanente, mons. Mariano Crociata, segretario generale della Cei, ha inquadrato in questi termini la “questione meridionale” dal punto di vista dei vescovi. “I problemi che il Mezzogiorno presenta – ha proseguito – sono di vario genere: dai gravi problemi legati ad un fenomeno come quello della disoccupazione, soprattutto giovanile, ad altri problemi che riguardano l’esercizio delle responsabilità pubbliche, ad esempio degli amministratori delle Regioni o degli enti locali, fino alla promozione del senso civico”. Ciò significa, per la Cei, che “c’è un’esigenza educativa che va messa a fuoco”, e che per la Chiesa italiana comporta “l’impegno a far diventare le nostre comunità luoghi in cui crescano, maturino, siano accompagnati, nel loro processo di evoluzione, veri cristiani e autentici cittadini”. Un compito, questo – ha puntualizzato mons. Crociata - che le Chiese del Sud “hanno già assolto e continuano ad assolvere”, ma nello stesso tempo “un impegno che la Chiesa italiana vuole assumere ancora di più”, in quanto “decisivo per una società più giusta e solidale, nel rapporto organico di tutte le componenti dell’unità nazionale”. Di qui la decisione della Cei di “tornare a parlare di questione meridionale” a 20 anni dal documento “Chiesa italiana e Mezzogiorno”, con un nuovo documento – la cui bozza è stata esaminata dall’ultimo Consigli episcopale permanente – che parta dalla costatazione che “i problemi del Mezzogiorno sono lì non come venti o quarant’anni fa, ma ancora vivi e presenti”. Quella che i vescovi italiani vogliono dire è dunque “una parola di responsabilità che non tocca soltanto la questione economica, ma è preoccupazione pastorale perché il Mezzogiorno cresca e possa svilupparsi meglio, nella coscienza che una zona che rimane indietro diventa un peso per tutto il Paese, e che al contrario una zona che cresce e si sviluppa sia una possibilità in più per tutto il Paese”. “Le vicende dei mesi scorsi suggeriscono, incoraggiano, fanno ritenere necessaria una legge che prevenga l’arbitrio: per il resto, auspichiamo una soluzione condivisa”. E’ la posizione dei vescovi sul “fine-vita”; così come è stata ribadita da mons. Mariano Crociata, segretario generale della Cei, durante la conferenza stampa di presentazione del comunicato finale del Consiglio episcopale permanente. L’intenzione dei vescovi, in altre parole, è di “guardare al bene del Paese, e a valori che salvaguardino il bene di ogni persona”: di qui l’auspicio “che il Parlamento trovi il modo, nella maniera più condivisa, di pervenire alla conclusione di un iter legislativo in fase abbastanza avanzata”. Il riferimento è al testo già licenziato dal Senato, definito da mons. Crociata – come già dal card. Bagnasco nella sua prolusione – “un punto di equilibrio significativo”. Quanto alla Ru486, per mons. Crociata “il rischio è di portarci un po’ indietro rispetto alla legge 194, conducendo così ad una sorta di banalizzazione dell’aborto”. “Un rischio che ci preoccupa”, ha commentato il segretario generale della Cei, rivendicando la necessità di “valutare attentamente le conseguenze effettive dell’uso, e delle modalità d’uso, di questo farmaco”. Valutazione “importante”, perché riguarda l’impatto “di un farmaco nuovo sulla sicurezza e sulla salute della donna”. Tra i vescovi “c’è preoccupazione per il giusto equilibrio tra la legalità, il rispetto delle esigenza di pace sociale, e nello stesso tempo l’accoglienza, il rispetto delle persone”. Così mons. Mariano Crociata, segretario generale della Cei, si è espresso sulla questione dell’immigrazione. Interrogato dai giornalisti, durante la conferenza stampa di presentazione del Comunicato finale del Consiglio permanente della Cei, in merito alla proposta di legge per “dimezzare” i tempi per la concessione della cittadinanza agli immigrati (da 10 a 5 anni), mons. Crociata non è entrato nel merito della proposta, ma ha ribadito che “l’immigrazione è ormai un fenomeno di grandi proporzioni” e che “l’attenzione all’esigenza dell’integrazione è imprescindibile, secondo tempi e modalità che vanno accolte e accompagnate per la salvaguardia del bene di tutti”. Interpellato, inoltre, sul dibattito in corso circa la permanenza delle truppe italiane in Afghanistan, mons. Crociata ha risposto che si tratta di “una responsabilità politica e istituzionale di una nazione, nel novero di altre nazioni”. La “responsabilità” da assumersi è che “si compia davvero un processo di superamento della violenza, dei conflitti e si inneschi un processo di pace”. Quanto ai vescovi, non tocca a loro “esprimersi sull’opportunità di continuare, recedere, promuovere, però c’è da condividere una responsabilità internazionale che i nostri governanti hanno gli strumenti di valutare”.
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