sabato 25 marzo 2017
Scola: dal Papa un grande aiuto a quella ricerca di unità che è urgente per Milano. Per me, per tutti, mi aspetto un abbraccio di consolazione.
Il cardinale Angelo Scola (Foto Siciliani)

Il cardinale Angelo Scola (Foto Siciliani)

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«Per me, per tutti, attendo un abbraccio di consolazione. Sono certo che, non solo i credenti, sentiranno da Francesco questo gesto carico di tenerezza e conforto». Così il cardinale Angelo Scola guarda alla visita che oggi porta il Papa a Milano.

La prima tappa è in un quartiere di periferia, le Case Bianche; la più lunga in un carcere, San Vittore. Perché?
Perché questo ci indica – come spiega bene l’Esortazione programmatica Evangelii gaudium – il metodo con cui il Papa esercita il ministero petrino: un ritorno all’essenziale della fede, cioè all’annuncio diretto di Cristo, che nel Vangelo si documenta come una preferenza data agli ultimi e agli scartati. Partire dalla periferia, passare così tanto tempo nel carcere, per il Papa è un modo di educarci. È la scelta della pedagogia di Gesù, il quale attraverso gli ultimi e gli emarginati ci aiuta ad amare tutti, nessuno escluso.

Milano, città dalle molte eccellenze, capitale economica e morale d’Italia, è anche città di povertà, emarginazioni, paure. Francesco può aiutarla a ricomporre in unità i suoi frammenti?
Io penso di sì, anche perché la Provvidenza ha voluto far cadere la visita in un momento felice per Milano, in cui si sta profilando un’alba di novità, pur fra molte contraddizioni. Ma io sento che lo stile di vita del Santo Padre, fermamente fedele al criterio evangelico di non escludere nessuno, potrà aiutare molto i cittadini milanesi e delle terre ambrosiane a identificare quale debba essere l’anima unitaria della metropoli. Per noi abitanti della “città di mezzo” divenuta metropoli internazionale, questa urgenza di unità non può più essere rinviata.

Come aiutare Milano a riscoprire e vivere la gioia del Vangelo?
Ci sono semi di novità da far crescere, che si innestano sulla ricca e vitale tradizione ambrosiana. Lo vedo incontrando le parrocchie, le comunità religiose, le aggregazioni e i movimenti. Soprattutto nelle assemblee della visita pastorale nei 73 decanati, ho scoperto l’esistenza di un senso di fede spontaneo nel nostro popolo. La difficoltà, per noi cristiani, è portare nel quotidiano della vita ciò che sperimentiamo partecipando all’Eucaristia. Paolo VI parlava di un fossato tra fede e vita. Questo resta il problema.

Qual è il volto autentico della diocesi che oggi accoglie Francesco?
Il Papa troverà una Chiesa piena di fascino per la sua storia e per i nuovi germogli sbocciati nel presente, ma ancora molto provata dal passaggio dalla convenzione alla convinzione. In tutta la Chiesa europea la nostra diocesi è, forse, quella che ha davanti il compito più difficile, perché è sul bagnasciuga di questo difficile approdo sulla spiaggia asciutta senza lasciare indietro nessuno. Come non essere interrogati dal fatto che, dopo i 20 anni e fino ai 55, moltissimi non praticano più? E non perché contrari alla fede o alla Chiesa, ma perché non riescono più a vedere il nesso tra l’Eucaristia e la quotidiana fatica del mestiere di vivere! Essere testimoni della gioia del Vangelo: ecco il nostro compito più urgente. Milano ha bisogno, come e forse più di ogni altra Chiesa, di testimoni personali e comunitari del fatto che seguire Gesù negli affetti, nel lavoro, nel riposo, nel dolore, nella paura della morte, nella cura verso gli altri, nella prospettiva della vita eterna, rende la vita più leggera e più felice.

Nel suo ultimo Discorso alla città per Sant’Ambrogio, lei ha detto: «Il cristianesimo potrà vivere senza Milano e l’Europa. Ma potranno la nostra città metropolitana, la Lombardia, l’Italia e l’Europa vivere senza cristianesimo?». Quale futuro ha il cristianesimo nelle nostre terre? Quale luce offre alla sfida il pontificato di Francesco?
Siamo chiamati a misurarci con l’alternativa posta da Eliot: «È l’uomo che ha lasciato la Chiesa o è la Chiesa che ha lasciato l’uomo?». Io credo che Milano e l’Europa non avranno futuro senza cristianesimo. Un cristianesimo come quello che il Papa documenta e testimonia, cioè una proposta libera, affascinante, coinvolgente, rivolta a tutti, nessuno escluso. Dobbiamo concepire la realtà come la manifestazione di Dio nella storia, sapendo leggere i segni dei tempi. Essi ci richiamano a due insegnamenti fondamentali di Gesù: se vuoi essere libero, vienimi dietro e sarai libero davvero; se vuoi essere felice, cambia il modo di rapportarti agli altri, vendi tutto, dallo ai poveri e seguimi. Ecco la strada da cui l’Europa non potrà prescindere. Altrimenti la decadenza attuale – che in occasione del 60° della firma dei Trattati di Roma è venuta a galla in tutta la sua forza – non potrà se non produrre ulteriore involuzione. Eppure io rimango pieno di speranza.

Come trasformare le nostre parrocchie in vera «Chiesa in uscita»?
Abbiamo bisogno di semplificare. Ma non lo si fa a tavolino: lo si fa vivendo, assecondando la realtà. Occorre che ognuno di noi – a partire da ciò che facciamo in famiglia, a scuola, nel lavoro, nella cura degli ultimi – ritrovi la bellezza, il gusto e la gioia del rapporto con il Signore e con la comunità. Così usciremo dallo schema angusto di chi pensa di risolvere tutto moltiplicando le iniziative o creando servizi. Importanti, certo, ma più importante è una comunità nella quale la mia libertà possa fiorire.

Come arcivescovo di Milano lei ha avuto la gioia di accogliere due Pontefici: Benedetto XVI nel 2012 e ora Francesco. Che fare perché la visita di un Papa non sia l’emozione di un giorno ma porti frutto?
Prepararsi bene e immedesimarsi con la testimonianza e la proposta del Papa, rendendola un fattore che innerva tutta la vita della comunità. Benedetto e Francesco hanno due stili diversi – e questa, per noi, è una grande ricchezza – in profonda continuità. Sono convinto, come successe con Benedetto, che i frutti della visita di Francesco saranno abbondanti. Io non sono di quelli che temono i grandi raduni e dicono che sono solo colpi emotivi. Un dato smentisce questa tesi un po’ intellettualistica: la quantità di vocazioni maschili e femminili nate dalle Giornate mondiali della gioventù.

Questi e altri incontri con i Pontefici hanno segnato anche il suo modo di essere pastore?
Sì, decisamente. Quando per la prima volta vidi Giovanni Paolo II celebrare Messa, nel febbraio del 1979, capii che era un santo, e quanto io fossi lontano da una posizione del cuore come la sua. Con Benedetto ho un’amicizia che dura dal 1972, l’ho incontrato innumerevoli volte e non ce n’è una in cui non abbia imparato qualcosa. Francesco lo sto scoprendo ora. Avevo già avuto modo di lavorare con lui a Roma; ma da quando è Papa, si vede che la grazia speciale dello stato lo ha fatto esplodere. La sua personalità mi interroga molto, mi mette in gioco. Costantemente.

Cosa la provoca in modo così forte?
Lo stile di testimonianza, il coraggio con cui affronta i problemi della Chiesa e l’inversione di metodo che ha realizzato: non più una teoria da applicare alla vita, ma il partire dalla vita e dall’esperienza, per poi riflettere criticamente sull’esperienza stessa alla luce del Vangelo nel solco della Tradizione della Chiesa.

Nel mondo: fame, guerre, commercio delle armi, «landgrabbing», migrazioni. A Milano: migliaia di bambini che, si scopre, non hanno cibo adeguato in quantità e qualità. Cosa resta della città che aveva organizzato con orgoglio l’Expo 2015 sul tema «Nutrire il pianeta, energia per la vita»? Francesco potrà aiutarci a riaprire gli occhi?
Io credo che il Papa ce la metterà tutta per aiutarci in questo. Milano mostra innegabili segni di rinascita, ma resta decisiva la questione delle radici e del senso di quello che fai. E Francesco non si stanca di riproporci Gesù che – diceva Agostino – è via alla verità e alla vita. Viviamo un cambiamento d’epoca pieno di tensioni e contraddizioni. Come cristiani siamo chiamati a fare esperienza di un Dio che ci ama per diventare testimoni del suo amore in ogni ambito dell’esistenza. Solo così potremo contribuire al rinnovamento dell’intera società civile.

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