martedì 9 aprile 2024
Realtà e scenario della prima fonte rinnovabile d'Italia
La centrale elettrica del lago di Suviana

La centrale elettrica del lago di Suviana - FOTOGRAMMA

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L’idroelettrico è oggi in Italia, e non solo, il più consolidato e robusto sistema per la produzione di energia elettrica a zero emissioni. È un sistema consolidato perché ha una tradizione ormai ultrasecolare. La più antica centrale idroelettrica italiana è quella di Bertini di Porto d’Adda, in Brianza: costruita nel 1895 è ancora in attività (la gestisce Edison). L’impianto fu il primo della grande fase dello sviluppo dell’idroelettrico in Italia, nazione che un secolo visse una sua prima transizione energetica rinnovabile: disponeva solo di centrali termoelettriche a carbone e iniziò ad aprire i cantieri per realizzare impianti capaci di sfruttare il grande bacino idroelettrico del Nord Italia.

Erano i decenni del “carbone bianco”, che aveva illuso di potere rendere il Paese energeticamente autonomo. Era appunto un’illusione: alla fine degli anni Cinquanta l’Italia aveva sfruttato il grosso del suo potenziale idroelettrico, con la costruzioni di diverse grandi centrali, ma l’elettricità generata non bastava a coprire il fabbisogno nazionale. La tragedia della diga del Vajont , che serviva ad alimentare la grande centrale del Soverzene, nel 1963, accelerò la chiusura della grande fase di espansione dell’idroelettrico in Italia.

Lo sfruttamento del “carbone bianco” però non si è fermato e ha ancora un ruolo centrale nel nostro bilancio energetico. Quello idroelettrico è un sistema robusto perché è ancora oggi la principale fonte di energia pulita del nostro Paese. Dicono i dati di Terna, la società che gestisce la rete elettrica nazionale, che dei 257mila gigawattora di elettricità generati lo scorso anno in Italia, più di 38mila (cioè quasi il 15%) sono arrivati dalle centrali idroelettriche, che si sono confermate la prima fonte rinnovabile davanti al fotovoltaico (12%) e all’eolico (9%).

È probabile che questo primato non durerà a lungo: l’energia del sole e quella del vento hanno ancora un enorme potenziale inespresso, che l’idroelettrico non ha, ma il contributo delle centrali idriche continuerà ad essere decisivo ancora per decenni. In realtà negli ultimi vent’anni anche questo settore “antico” ha conosciuto un’ondata innovativa, con lo sviluppo del “mini-idroelettrico”, fatto di centrali di piccole dimensioni ma ad alta efficienza. Se nel 2006 l’Italia contava ancora meno di 2100 impianti idroelettrici, l’ultima rilevazione di Terna a fine 2022 ne ha contati 4.790, di cui solo 18 grandi centrali con potenza superiore ai 200 MW, 24 centrali medio-grandi con potenza tra i 100 e i 200 MW, 1.216 centrali medio-piccole e 3.532 centrali piccole o piccolissime che non arrivano a 1 MW di potenza.

È anche un settore che attraversa una fase complicata. Proprio questa mattina, poche ore prima della tragedia della centrale elettrica del lago di Suviana, Paolo Taglioli, direttore generale dell’associazione di settore Assoidroelettrica, era alla Camera per essere ascoltato in commissione Ambiente sulla proposta di aggiornamento del Pniec, il piano energetico nazionale energia e clima. Taglioli ha parlato del grande problema delle imprese che controllano la centrali: la messa a gara delle concessioni per lo sfruttamento dei corsi d’acqua, richiesta dall’Europa con la direttiva Bolkenstein, inserita tra i criteri per i fondi del Pnrr e decisa dal governo Draghi con la legge sulla Concorrenza del 2021. «Il settore è in ginocchio» ha accusato Taglioli, che ha ricordato che negli altri Paesi europei nessuno è stato così rapido nel mettere a gara le concessioni. Le imprese, che senza proroghe temono di perdere la gestione degli impianti, non investono e in questo momento, sono «paralizzate».

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