«Mio figlio disabile in classe con gli altri. Caro Vannacci, questa è la vita»
lunedì 29 aprile 2024

Egregio generale Vannacci lei è mai stato in una classe dove gli alunni disabili vivono coi loro compagni non disabili? Penso di no. Altrimenti non avrebbe detto quello che ha detto, non avrebbe riproposto quelle assurde e disumane “classi differenziali” eliminate cinquanta anni fa. Io ci sono stato per tanti anni, accompagnando mio figlio Edoardo, disabile grave.

Ogni mattina era felice di andare a scuola dai “bibi” come lui chiamava i compagni. E io ero felice per lui e per una scuola capace accoglierlo e abbracciarlo. E i compagni lo accoglievano davvero con attenzione, affetto, delicatezza, quasi facendo a gara per aiutarlo.

Edoardo, Dodò per tutti, non ha mai imparato a leggere e scrivere, e non lo avrebbe fatto neanche in una classe di soli “diversi” come lui. Ma ha vissuto giornate serene, allegre, piene. E sono certo che queste giornate coi compagni e con brave insegnanti, lo hanno fatto crescere. Hanno fatto crescere quella sua testolina complicata. Così come sono certo che hanno fatto crescere i suoi compagni.

Generale, lei che sembra preferire solo efficienza e perfezione, sembra non sapere cosa sia la vita e di come solo incontrando e confrontandosi con fatiche, dolori e diversità si cresca veramente. La scuola è questo, educare e educarsi è questo. Non si misura solo sulle nozioni ma sulla crescita integrale. E l'incontro con compagni disabili fa crescere meglio e in profondità. Ha mai visto, generale, bambini delle elementari aiutare il compagno disabile, spingere la sua carrozzina, portare il suo zaino, sorridergli, dividere la merenda? Ha perso molto, glielo assicuro.

Il presidente Mattarella, confermando ancora una volta la sua grande sensibilità, sabato scorso tra i 29 attestati di “Alfiere della Repubblica” ad altrettanti piccoli eroi che si sono distinti per coraggio e solidarietà, ha premiato la classe 5A della scuola primaria - Istituto comprensivo di Trasacco. Erano in gita a Roma, ma la rottura della pedana del pullman ha impedito a un compagno disabile di scendere. Avrebbe dovuto rinunciare alla visita della Capitale. Allora i bambini si sono rifiutati di scendere senza il loro amico. Non un “diverso” da rinchiudere con altri “diversi” ma un amico, diverso certo, ma la cui diversità li aiuta a essere aperti, sensibili, completi.

Già, generale, le classi senza disabili sono una perdita, in primo luogo per gli altri alunni ma anche per le famiglie, per la società. La scuola, generale, non è un reparto militare, performante, impeccabile macchina da guerra. La scuola educa alla vita, di tutti e con tutti. Con le sue imperfezioni, che la rendono ancor più vita. Solo così cresce una società, senza barriere, ghetti, emarginati. Miglioriamo l'integrazione scolastica, formiamo meglio gli insegnanti di sostegno, ma non allontaniamo i nostri figli “diversi” dai compagni “normali”.

Senza il loro “abbraccio” la scuola sarebbe meno scuola e il Paese più povero. Lei generale ha poi voluto precisare: “Nessuno rimane indietro, ma liberiamo ali e cervelli di chi sa o vuole volare!”. Sempre peggio! I nostri figli “brutti anatroccoli” non voleranno mai come splendidi cigni. Non è questione di sapere o volere volare. Non lo possono fare. E allora che facciamo? Li chiudiamo lontani dagli altri? E allontaniamo gli altri da loro? Liberiamo i cigni dai brutti anatroccoli? Avrebbe una sola definizione. Disumanità. Perfetta ma senza cuore e senza anima.

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