domenica 17 gennaio 2021
È dedicato a Elia e ai suoi “colleghi” il secondo volume della “Bibbia dell’amicizia”, un commento del testo comune da parte di studiosi di entrambe le fedi
Papa Francesco con il rabbino ashkenazita David Lau e il rabbino sefardita Yitzhak Yosef durante una visita allo Heichal Shlomo Center a Gerusalemme il 26 maggio 2014

Papa Francesco con il rabbino ashkenazita David Lau e il rabbino sefardita Yitzhak Yosef durante una visita allo Heichal Shlomo Center a Gerusalemme il 26 maggio 2014 - Osservatore Romano/Ansa

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Le relazioni vere per crescere hanno bisogno di attenzione. E di rispetto. Non basta parlare, occorre imparare l’ascolto, il confronto con opinioni diverse, per così dire il “vocabolario” dell’incontro. Senza per questo rinunciare a quel che si è. Vale nel “privato” di ciascuno così come, fatte le debite differenze, per il dialogo tra le fedi, che spesso matura anche grazie ai rapporti personali, al tu per tu. Uno stile che è tra gli aspetti originali di La Bibbia dell’amicizia di cui è stato da poco pubblicato il secondo volume (San Paolo, pagine 384, euro 30,00) dedicato ai Neviim/Profeti.

Il progetto, avviato due anni fa, rappresenta una novità nel panorama italiano. E non solo. Si tratta di un commento alla Bibbia scritto insieme, a più mani, da ebrei e cristiani. Con lo scopo, non di arrivare a una lettura unificata, ma «di conoscersi meglio e di conoscere meglio le rispettive interpretazioni, accettando che possano essere diverse». La pubblicazione – hanno scritto i due curatori, Giulio Michelini e Marco Cassuto Morselli, (presidente della Federazione delle Amicizie ebraico-cristiane in Italia, già docente di filosofia ebraica e storia dell’ebraismo) – nasce «da due realtà: l’amore per il Davar (la parola di Dio) e l’amicizia tra ebrei e cristiani».

Per la prima volta, spiega padre Michelini ordinario di esegesi neotestamentaria e preside dell’Istituto teologico di Assisi, «si commentano insieme dei libri della tradizione ebraica e poi cristiana in modo così sistematico e rilevante. Finora avevamo pubblicazioni anche molto ricche a due voci, ma di un solo libro, mai era successo che nel complesso dei volumi (stiamo preparando il terzo) 150 tra ebrei e cristiani lavorassero insieme per commentare una tale mole di pagine». Nuovo anche lo stile. «La forma più tradizionale, quella di leggere a due voci lo stesso brano, avrebbe potuto dare un’idea di contrapposizione, abbiamo preferito una metodologia che desse spazio all’interpretazione dell’altro».

L’iniziativa è nata durante uno degli ormai tradizionali colloqui di Camaldoli. «L’idea è venuta a me, poi è andata avanti con Marco Cassuto Morselli. A darmi grande forza, a fare da volano, sono stati, oltre agli studi, in particolare un Master a Gerusalemme, gli esercizi spirituali tenuti al Santo Padre (nel 2017, ndr) che mi hanno permesso di avere credito presso i colleghi. Questo progetto infatti nasce nell’assoluta gratuità, i collaboratori non hanno chiesto e ricevuto nulla e anche grazie alla Cei che ha coperto parte delle spese».

Nessuno comunque si è tirato indietro. «Tutti quelli che abbiamo interpellato – aggiunge Michelini – hanno accettato e molti si sono offerti di collaborare anche al terzo volume. Perché hanno capito che non è solo un’operazione esegetica ma culturale, direi anche politica, da polis, nel senso di casa comune, in cui dobbiamo e possiamo vivere insieme, accettando l’interpretazione dell’altro». Il ventaglio dei commentatori è molto ampio. «Ci sono i maggiori studiosi italiani ma abbiamo voluto anche una selezione di accademici a livello internazionale. Così nel prossimo volume avremo un contributo della Notre Dame University, la più importante università cattolica degli Usa. L’operazione, ripeto, non è commerciale, chi scrive non guadagna niente, ma di servizio, per questo abbiamo avuto l’appoggio anche di diversi vescovi. Per esempio nel prossimo volume monsignor Nazzareno Marconi commenterà Qohelet, il libro al centro anche dell’odierna Giornata per il dialogo tra cattolici ed ebrei».

L’uscita del primo volume è stata salutata da un successo persino inatteso. «La considero un’opera che va al di là delle capacità mie e di Marco. Ci ha molto aiutato la prefazione al primo volume di papa Francesco, avere un contributo così significativo ci ha incoraggiati, testimonia che questo lavoro va avanti da sé».

I volumi, come detto, raccolgono pagine scelte, compongono un’antologia. In particolare in questa seconda pubblicazione cinquantadue studiosi si soffermano sui Neviim/Profeti, ossia sui libri storici e profetici. «Sì, secondo il modo degli ebrei di considerarli e di dividere la Bibbia, il che ci fa cogliere una prospettiva diversa che viene semplicemente dall’indice, si potrebbe dire». Una prospettiva che si cala perfettamente nel significato della Giornata del 17 gennaio. «“Bibbia dell’amicizia” vuol dire che per conoscersi meglio, bisogna fare cose insieme. Il progetto, se si vuole, nasce dal Convegno ecclesiale nazionale di Firenze, nel 2015, quando il Papa sottolineò che solo progettando e lavorando insieme si può costruire un dialogo con chi è diverso da noi. E non è facile. Nel nostro caso ogni decisione viene presa in due, da me e Marco, e possono esserci tensioni e discussioni. Si pensi alla questione, che ci ha preso ore e ore, del nome di Dio, su come scriverlo. Lavorare insieme però ci ha permesso di creare una relazione, ed è stato importante».

Se amicizia è la parola chiave, forse il concetto che meglio l’accompagna è ascolto, ascolto dell’altro. «Esatto, che non significa perdere la propria identità, perché non è che se leggo l’interpretazione dell’altro devo considerare sbagliata la mia. In questo senso insieme a un grande rispetto e a una grande apertura mentale c’è bisogno di una forte coscienza della propria identità. Non è tutto uguale, infatti. Basta leggere quello che scrive un amico rabbino, Jack Bemporad, sul servo sofferente, che per noi cristiani è Gesù Cristo mentre lui nella sua bella trattazione spiega che per gli ebrei è Israele. Cosa fare di fronte a una posizione così diversa dalla mia? Mi chiudo? O mi domando perché gli ebrei pensano così? Se scelgo la seconda possibilità imparo qualcosa senza per questo rinunciare alla mia posizione: io continuerò a vedere in quel servo sofferente Gesù Cristo. E gli ebrei il popolo di Israele».

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