domenica 17 gennaio 2021
Un commento all'iniziativa della "Bibbia dell'amicizia": «La possibilità di celebrare le diverse interpretazioni dell’unica Bibbia è segno che lo spirito della profezia non ha smesso di soffiare»
La Bibbia ebraica

La Bibbia ebraica - Pixabay/CCby2.0

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Si fa gran uso (forse un abuso?) dell’aggettivo "profetico". Personaggi pubblici, gesti ed eventi sono spesso qualificati come profetici e additati alla pubblica ammirazione. Ma storicamente i neviim, i profeti di Israele, erano tutt’altro che stimati o celebrati, specie quand’erano vivi; anzi di solito erano disprezzati e perseguitati, perché il loro ruolo consisteva nel criticare e contestare i potenti di turno, che fossero i re o la classe sacerdotale; erano dei 'tafani divini', per prendere a prestito la metafora di Socrate, nel senso che pungevano e sferzavano il popolo che, dimenticando Colui che li aveva tratti dall’Egitto, «serviva dèi stranieri»; erano degli ostinati difensori di un ordine morale e di una giustizia sociale che non esisteva ma avrebbe potuto esistere se fosse stata seguita le legge del Signore. Sferzavano, ma quando i nemici infierivano con guerre e deportazioni, eccoli al fianco del popolo in miseria e in angoscia, pronti a consolare, condividere le sofferenze, rincuorare con parole di speranza.

La profezia biblica è uno dei fenomeni culturali e religiosi più straordinari che la Bibbia ci abbia tramandato. Fenomeno diversificato tra regno di Israele a nord e regno di Giuda a sud, nel quale tuttavia ogni profeta mantiene la propria personalità unica e irripetibile, il proprio carattere, le proprie passioni. Ma vi è un tratto comune: sempre il profeta antepone la fedeltà alla Parola rispetto alle convenienze politiche, sempre antepone la solidarietà verso il popolo ai propri interessi e persino alla propria vita. È questa consapevolezza che unisce i circa cinquanta autori, ebrei e cristiani divisi in pari numero, che hanno collaborato al secondo volume della Bibbia dell’amicizia. Sferzare e consolare. Il ruolo dei profeti, in cui vengono commentati altrettanti brani, antologizzati con intelligenza dai cosiddetti libri profetici del Tanakh, della Bibbia ebraica, che includono anche Giosuè e Giudici, i libri di Samuele e dei Re, oltre ai singoli profeti.

Il volume è curato da Marco Cassuto Morselli, presidente delle Amicizie ebraico-cristiane italiane, e da Giulio Michelini, francescano e preside dell’Istituto Teologico di Assisi; e si apre con le prefazioni del cardinale Kurt Koch e del rabbino David Rosen. Nel suo genere, è un unicum nel panorama del dialogo ebraicocristiano: non ha scopi scientifici, ma pone i risultati delle scienze bibliche al servizio di una più olistica comprensione dell’importanza dell’ascolto delle Scritture per le due comunità religiose, quella ebraica e quella cristiana. Non è un caso che dal punto di vista cristiano i profeti di Israele facciano da ponte tra Torà e Nuovo Testamento, né va ignorato che i testi profetici hanno aiutato molti studiosi ebrei del Novecento (da André Chouraqui a Martin Buber, da Abraham Heschel a André Neher) ad apprezzare le sacre Scritture cristiane.

Nella Bibbia dell’amicizia appartenenti alle due fedi e militanti del dialogo offrono prospettive spesso inedite e riflessioni audaci sul significato della profezia in quanto tale, una categoria dello spirito, ma anche una missione teologico-politica spesso confusa con l’apocalittica da una parte o con la divinazione dall’altra. Né catastrofisti per natura, né indovini per vocazione, i profeti sono donne e uomini che sanno ascoltare e di quell’ascolto si fanno fedele eco, riuscendo così a interpretare il loro tempo. Non sono professionisti ma scolari, per così dire, e non vogliono essere creduti o avere successo, quanto stimolare gli altri ad avere fiducia in Dio e nel futuro, nonché a capire meglio se stessi e il proprio ruolo nella storia.

I profeti sono sempre degli ermeneuti degli eventi storici, perché si sforzano di connettere la Parola con gli accadimenti che, nel bene e nel male, segnano la storia. Sono la chiave della relazione tra l’Assoluto e il relativo, tra la Rivelazione e la vita, tra il testo e le attese umane. Come dice Buber, ebrei e cristiani hanno in comune proprio un libro e un’attesa, e pertanto possono ascoltare insieme quel libro e lavorare spalla a spalla perché si realizzi ciò che si attende e si spera.

Da Gerusalemme David Rosen si dice certo che questa Bibbia dell’amicizia offra «una nuova opportunità di riflettere sulle nostre reciproche diverse comprensioni del nostro patrimonio comune». La possibilità di celebrare le diverse interpretazioni dell’unica Bibbia, nel riconoscimento sincero del valore religioso di ciascuna comunità e del suo metodo esegetico-ermeneutico, è uno dei segni che lo spirito della profezia non ha smesso di soffiare.

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