giovedì 13 ottobre 2022
Due drammi in Belgio: una ragazza scampata nel 2016 a un attentato, una 64enne con problemi psichici. Deriva inarrestabile?
Shanti De Corti

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L’eutanasia. Ma quando? In che condizioni? Con quali controlli? Due recenti fatti di cronaca hanno chiamato in causa la legge del Belgio – Paese che dal 2002 ammette la morte a richiesta –, mostrando come il principio dell’autodeterminazione, se non adeguatamente bilanciato, possa generare enormi interrogativi rispetto al dramma personale di chi ha voluto morire secondo l’ordinamento giuridico del Paese.

Shanti De Corte è – o meglio, era – una ragazza 23enne di Anversa, affetta da problemi psichici, che il 22 marzo 2016 rimase illesa nell’attentato all’aereoporto di Bruxelles rivendicato dall’Isis. Quello che doveva essere uno spensierato viaggio a Roma con una novantina di compagni di liceo è divenuto la causa di un aggravamento delle sue condizioni psichiche già precarie. A nulla è valso il fatto che dall’azione terroristica sia uscita fisicamente illesa. Le bombe esplose a pochi metri da lei, causando 16 vittime sotto i suoi occhi, hanno agito sulla percezione che la ragazza aveva di sé, della vita e del mondo. Così, dopo un calvario dentro e fuori dagli ospedali psichiatrici, lo scorso 7 maggio ha ottenuto in Belgio l’iniezione letale. «Ho riso e pianto fino all’ultimo giorno. Ora me ne vado in pace. Sappiate che già mi mancate», ha scritto sul suo profilo Facebook.

Diverse persone hanno commentato di essere favorevoli all’eutanasia ma non in quel caso. La Commissione federale ha chiuso il caso affermando che la ragazza «era in un tale stato di sofferenza mentale che la sua domanda è stata logicamente accettata». Se questa vicenda – per il momento – non ha avuto strascichi giudiziari, un’altra morte volontaria sempre in Belgio è stata al centro di una sentenza emessa nei giorni scorsi dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) di Strasburgo.

I fatti risalgono al 2012: una 64enne ottiene l’eutanasia per problemi psichici, all’insaputa del figlio, tramite una procedura che però ha molte ombre. La prima: il medico che ha praticato l’eutanasia era il co-presidente della Commissione federale incaricata di approvare le singole soppressioni, e di curarne la verifica a posteriori. La seconda: il sanitario che ha certificato l’incurabilità della malattia psicologica della donna non era uno psichiatra ma un oncologo. E fisicamente la donna non aveva alcun problema. La terza: perché nessuno ha avvisato il figlio, precedentemente allontanato dalla donna, in un contesto di disagio psichico? La Corte ha condannato il Belgio perché la commissione che ha verificato le condizioni per ottenere l’eutanasia non era indipendente.

Per la Cedu lo Stato ha violato l’articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dedicato al «Diritto alla vita». I due casi illustrano con chiarezza l’estrema difficoltà, una volta ammessa e legalmente disciplinata l’eutanasia, di garantire la sua giusta applicazione. Il primo problema riguarda la libertà del consenso alla morte, che per la legge belga può essere chiesta non solo da un maggiorenne ma anche da un minore dotato di «capacità di discernimento».

Posto che per molti psichiatri una simile scelta non è mai davvero libera, ancora più ardua appare la verifica sulla presenza o meno in un minore di questa «capacità di discernimento». Quale requisito per l’iniezione letale la legge pone una «sofferenza costante, insopportabile e non alleviabile », applicata qui su due casi di depressione. Si apre il medesimo problema dibattuto sulla proposta di legge italiana in tema di suicidio assistito, coltivata dalla scorsa legislatura su monito della Corte Costituzionale: cosa si fa se la sofferenza è psichica? Se è alleviabile con le cure palliative ma il paziente le rifiuta? In Belgio c’è poi il tema della commissione federale, chiamata a valutare ex post – per ogni caso di eutanasia – se le procedure di legge siano state rispettate. Il caso approdato a Strasburgo mostra che si può verificare il caso del conflitto d’interessi all’interno della commissione. Un’altra anomalia riguarda il silenzio dell’organismo sul fatto che, sempre secondo il diritto belga, tocca a uno specialista della malattia di cui soffre il paziente di verificare la rispondenza o meno del caso ai criteri per l’accesso all’eutanasia.

Vale la pena ricordare a questo proposito cosa accadde nel 2017: Ludo Van Opdenbosh, eutanasista convinto e membro della Commissione, se ne andò dall’assise sbattendo la porta: «Questa non è eutanasia, questo è un omicidio». Sul tavolo c’era il caso di una persona uccisa per volontà dei parenti. Ma per la Commissione tutto era avvenuto a norma di legge.

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